Lettera da un altro mondo

Vi scrivo una lettera da un altro mondo, cioé da un torneo internazionale di scacchi. Qui i nostri problemi principali sono dove mettere gli Alfieri, la realtà ci riguarda poco. Non ho mai visto un giornale in questa settimana. Quando entri in sala di gioco il colpo d’occhio è spettacolare, la maggior parte delle persone non hanno mai visto tante scacchiere tutte insieme. Sono sempre più convinta che gli scacchi vadano introdotti nelle scuole obbligatoriamente. Non è solo matematica, è arte pura, tutti gli scacchisti sono artisti, dicono. E’ un gioco che dovrebbe fare bene, aiutare le capacità di problem solving, rallentare l’invecchiamento del cervello. Dovrebbe, perché, a dire la verità, molti scacchisti di una certa età sono mezzi matti o alcolizzati. Poi ce ne sono altri, che non hanno l’aspetto del secchione, che non corrispondono all’immaginario collettivo. Una volta la campionessa De Rosa andò in qualità di personaggio misterioso al gioco televisivo “I soliti ignoti”, quello dove un concorrente deve indovinare l’identità di alcuni sconosciuti. La De Rosa non è stata riconosciuta, troppo bella e troppo “donna” per giocare a scacchi. In effetti, è uno sport prettamente maschile, ma questo non mi ha mai fermato. Ci sono delle categorie solo femminili, per esempio “Maestro Internazionale Femminile” di cui non ho mai afferrato il senso. Per il resto tutti sono uguali, non conta l’età (i bambini menano di più degli adulti), non contano le condizioni fisiche. Io ne sono la prova. E c’è un Candidato Maestro, miracolosamente salvato da un incidente. L’avevano dato per morto e ora gioca. Gli scacchi aiutano, possono essere un riscatto. E impari, impari a perdere, a gestire le emozioni, a non trovare alibi. Perché quando perdi non è mai sfortuna, la responsabilità è tua. Più si va avanti, più il livello cresce, meno la fortuna esiste. L’interpretazione della sconfitta è la cosa più importante, bisogna saper dare un nome sincero a questa fantomatica fortuna. Tengo a questo torneo più che ad altri, più che ai miei esami universitari, perché è un’occasione troppo ghiotta. Noi, comuni mortali, siamo nello stesso torneo con dei Grandi Maestri. Grande Maestro è il massimo titolo, una sorta di cintura nera. Chi ci è arrivato dice che quell’aggettivo, “Grande”, conta, che gli avversari ti guardano in maniera diversa dopo. Mi piacerebbe sperimentare se è vero, ma devo impegnarmi infinitamente di più. Chi punta davvero al titolo deve abbandonare tutto il resto e dedicarsi all’allenamento otto ore al giorno. Per ora mi accontento delle ultime scacchiere. Arrivando qua mi sono resa conto di quanta strada devo percorrere ancora, ogni sconfitta è una lezione di umiltà. Sono sempre più simile a un pedone ogni giorno che passa. L’unico pezzo che va solo avanti e di un passo alla volta, l’unico pezzo che può diventare qualcos’altro quando arriva all’ottava traversa. Solitamente si tramuta in Regina. Quando ho saputo della ” promozione del pedone” è stato sconvolgente, una delle più belle sorprese di questo gioco. Ricordo la prima volta che ho dato Scaccomatto (avevo sette anni), ricordo quando ho contato le caselle e ho scoperto che erano sessantaquattro ed ero felicissima di questo. Ricordo il mio primo torneo, quando alla domanda “come è andata la partita?” rispondevo “Bene, ho perso”.

Cecilia Alfier