Quando il complimento è molestia

Due ragazze passeggiano per la strada principale, ben vestite. Pantalone alla moda, vestitino corto, tacco alto. La solita serata tra amiche, per raccontarsi come è andata la settimana e finalmente vestirsi in modo carino dopo giorni di jeans.

Passa una macchina con due ragazzi, suonando il clacson in maniera fastidiosa. Le ragazze si spostano dicendo “Siamo sulle strisce!”. Ma i ragazzi non interessa. Rallentano, nel mezzo della piazza gremita di gente, urlando “Eh, ma siete fighe, guardiamo”.

Una delle due ragazze, palesemente scocciata, lo guarda: “Ma ti sembra il caso, maleducato?”. E lui ripete “Oh, ma che te la tiri? Figa di legno”.

A quel punto hai due strade: proseguire la tua strada tra le risatine della gente, o mandarlo a quel paese e mollargli un ceffone; la seconda ti fa beccare una querela, e non mi sembra il caso.

Proseguire la tua strada tra le risatine della gente, vergognandoti, con il peso di un bell’insulto, infastidita nell’intimo della tua sessualità, nella vergogna.

Io, donna, devo vergognarmi perché un decerebrato mi ha offesa.

 

Perché questa è la molestia sessuale.

Non è solo una mano sul sedere data dal datore di lavoro alla segretaria. Non è solamente il respiro affannoso al telefono, di notte. Non è solamente il ricatto sessuale: “O me la dai o ti licenzio”.

La molestia è tutto ciò che fa vergognare una donna di essere donna.

La molestia è una forma mentis, è qualcosa di radicato nella cultura. Chi ha difeso quella ragazza, mentre veniva insultata con un “figa di legno”? Nessuno. Perché la gente rideva, sembrava una battuta; del resto aveva un vestito corto, il “complimento” se l’è cercato.

Vorrei vedere se l’avessero detto alle loro madri.

È una forma mentis. È un modo di pensare. Una donna non può rispondere ad un insulto del genere, non ha scampo. Del resto è solo un complimento, dovrebbe solamente essere felice che uno sconosciuto le dedichi delle attenzioni urlandole “Figa!” in mezzo alla strada.

C’è qualcosa di profondamente malato in tutto ciò. C’è qualcosa di malato in una società che eleva ad audace un ragazzo estremamente maleducato. C’è qualcosa di malato se la ragazza non può rispondere, senza esser bollata come “troia” o “figa di legno”.

C’è qualcosa di molto, molto malato, se una ragazza non può girare per la strada senza vergognarsi di essere donna.

Io, personalmente, sono tornata indietro. L’ho guardato negli occhi, ho puntato il dito e ho scandito un italianissimo “Ma vai a quel paese, maleducato. Tua madre, che ti ha insegnato l’educazione, ora si sta vergognando di te”.

Così come qualsiasi donna. Così come dovrebbe fare una società sana.

Alessandra Busanel