Note a margine sul Renzi giornalista

La conferenza stampa di fine anno del presidente del consiglio Matteo Renzi, organizzata dall’Ordine dei giornalisti il 29 dicembre, è stata qualcosa di epico e probabilmente senza precedenti nella storia del mondo: il «premier rampante» ha snocciolato perle di saggezza con una velocità e una nonchalance degne del miglior Cetto La Qualunque. «Gufo è chi parla male dell’Italia, non del governo», «Voglio cambiare l’umore agli italiani» e, dulcis in fundo, «La parola del 2015 sarà ritmo». Ci immaginiamo le facce perplesse dei presenti, chi non li capirebbe?
Poi però, scelta coerente del Matteo, è toccata qualche stoccata anche all’altra «casta», quella dei giornalisti, che aveva organizzato tutto l’ambaradan: «I politici devono migliorare, non mi permetterò mai di dirlo dei giornalisti, ma penso sia l’obiettivo di ciascuno», «Mi piace da impazzire l’idea di una funzione sociale del giornalismo» e infine «Quando la modalità cambia bisogna adattarsi al mondo che cambia. Anche sul giornalismo».
Fa un certo effetto vedere i presenti, molti dei quali giornalisti di grande esperienza, farsi fare la lezione da uno come Matteo Renzi. Da notare che, per esempio, il
Corriere ha completamente omesso le frasi sui giornalisti, speriamo che l’autore del pezzo le abbia ritenute ininfluenti. A nostro parere danno molto l’idea.
Con una stampa che assomiglia molto più all’istituto Luce che ad un’informazione libera di una democrazia, l’Italia è ormai al 70° posto e probabilmente non è ancora soddisfatta: ci sono ancora i regimi dittatoriali da sconfiggere, e non è cosa facile. Ce la metteremo tutta.
Queste righe di breve digressione perché oramai Renzi ha monopolizzato l’informazione italiana, con pochissime eccezioni: lui detta, i giornalisti-scribacchini scrivono. Il Jobs Act fa schifo? Ma il premier ha detto che è una figata: bene, scriviamo che è una figata. Senza poi contare i glissage e le domande a cui non è stata data una risposta, ovviamente nel silenzio generale del pubblico in adorazione.
Questo non è giornalismo, è politica.

Tito G. Borsa