Grazie a Umberto Eco conosciamo Mafalda

Ha sei anni, ama i Beatles, la democrazia, i diritti dei bambini. Ha una capigliatura folta e nera, difficile da pettinare e un caratterino niente male. Vi ricorda qualcuno? Esatto, è la piccola grande Mafalda, il personaggio a fumetti inventato dall’argentino Joaquín Lavado, in arte Quino. Uno dei meriti di Umberto Eco è averne supportato la prima pubblicazione in Italia per Bompiani.

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Ciò che colpisce di lei è tutto: non avevo mai visto tanto amore per la pace in una persona sola, meriterebbe il Nobel, chissà quando la candideranno. Mafalda non vuole la pace nel mondo per uno scopo, lei la vuole davvero. Il fumetto segue le vicende dell’Argentina giorno dopo giorno, ma soprattutto quelle del mondo. Ed è sorprendentemente pieno di riferimenti agli scacchi, come la vignetta uscita in occasione della proclamazione di Bobby Fischer a campione mafalda_quino7mondiale. Uno dei personaggi, Susanita, commenta così: «Bravo Fischer, ma a quando i figli?». La povera Susanita non conosce Bobby! Non dovrei definirla povera, lei detesta i poveri, è la caricatura della donna che non desidera altro che diventare moglie e madre. Il mondo dei bambini di Quino è affascinante, specchio di quello degli adulti. Il mondo dei bambini in generale è affascinante (chi mai potrebbe inventare la parola «petaloso»?). Nel fumetto, tutto si carica di un nuovo significato, la minestra (che la bimba è costretta a ingerire tutte le sere) diventa il simbolo dell’oppressione, il mappamondo un amico di cui prendersi cura. A differenza dei Peanuts, gli adulti ci sono, non sono mai all’altezza di Mafalda, ma ci sono. Lei vorrebbe una madre laureata: quando scopre che mamma ha abbandonato l’università per sposarsi, chiama il papà al lavoro per dargli dell’oscurantista! Troppo forte la piccola. Vuole crescere, diventare ambasciatrice dell’Onu, è un peccato che invece rimarrà sempre bambina. L’industria bellica morirebbe in due giorni e i film di James Bond non incasserebbero più nulla.