Cattelan e Hitler: «Come sconfiggere la paura»

Più di 78 milioni di dollari: è questo il valore totale dei 39 lotti aggiudicati da Christie’s l’8 maggio nel corso dell’asta newyorkese intitolata sarcasticamente (o scaramanticamente?) Bound to fail, «Destinata a fallire». Di questo totale da capogiro, più di 17 milioni di dollari – all’incirca 15 milioni di euro – provengono dalla vendita della scultura Him di Maurizio Cattelan. L’opera del cinquantacinquenne padovano ha superato ogni stima, che la quotava tra i 10 e i 15 milioni di dollari, conseguendo ben due primati: il record per l’asta, sorpassando di due milioni One Ball Total Equilibrium Tank, un pallone da basket sospeso in un acquario firmato Jeff Koons, e il record per l’artista stesso, che nel 2010 aveva sfiorato gli 8 milioni di dollari da Sotheby’s con Untitled, suo autoritratto in cui mani e testa sbucano fuori dal pavimento.

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Him, cioè «Lui», è una scultura fatta di cera, resina e capelli umani raffigurante Adolf Hitler con le lacrime agli occhi e inginocchiato in segno di preghiera. Dal 2001, anno di realizzazione dell’opera, è stata spesso al centro di dibattiti e polemiche, soprattutto quando, tra la fine del 2012 e l’inizio del 2013, venne collocata nel cuore del ghetto di Varsavia, luogo tristemente evocativo della follia nazista che durante la Seconda guerra mondiale condusse allo sterminio di milioni di ebrei. La statua fu collocata all’interno di un cortile chiuso in un modo tale da poter essere vista dal pubblico solo di spalle; gli spettatori potevano scorgere l’opera solo da un portone, attraverso un pertugio che ha, non a caso, una forma esagonale che ricorda molto quella della Stella di David, simbolo ebraico per eccellenza. L’installazione di Him nel ghetto della capitale polacca suscitò un fiume di critiche nei confronti di Cattelan, che fu accusato di cinismo e mancanza di rispetto nei confronti del popolo ebreo e della sua ferita ancora sanguinante inferta dalla Shoah. Al contrario, però, lo scopo dell’artista era ben lontano dall’offendere o, peggio ancora, dal prendersi gioco della terribile vicenda: la ragionata unione di opera e luogo fu un pretesto per far riflettere il pubblico sulla natura del male.

«Hitler è pura paura. Si tratta di un’immagine di dolore terribile. Fa male anche solo pronunciare il suo nome. Hitler è ovunque, è lo spettro tormentoso della storia; eppure è avvolto in una coltre di silenzio», ha resize__575__575__5__exhib_images__fc382catellan_himdichiarato Maurizio Cattelan qualche anno fa. Him, «Lui», una sorta di «Colui che non deve essere nominato», per citare J.K. Rowling: il suo nome è tutt’oggi impregnato di terrore. Si fa fatica ad ammettere quanta malignità possa rivelarsi dall’animo umano: proprio questa presa di coscienza è il vero obiettivo dell’opera di Cattelan. È un lavoro che cerca di parlare del male come concetto generale e universale attraverso la rappresentazione di colui che, più di tutti, ne ha rappresentato l’incarnazione.
Perché ha avuto così tanto successo, vi chiederete. Ebbene, oltre allo strabiliante trascorso artistico di Cattelan, egli è stato l’unico artista che, finora, ha avuto il coraggio di cimentarsi con un tema di tale portata. È stato capace di concentrare in una scultura non solo il male ma anche il rimorso che rende lucidi gli occhi del führer e lo costringe in preghiera dinanzi alla sofferenza di cui è colpevole. Cattelan ha dato prova dell’immenso potere dell’arte che permette di rappresentare l’innominabile, l’irriproducibile: ed ecco che Him, prendendo forma, non è più «Lui» ma è Hitler. È un Hitler tormentato dai suoi peccati, che sa di essere «destinato a fallire», come recita (casualmente?) il titolo dell’asta in cui è stato venduto, che si inginocchia, che chiede perdono. È un Hitler come non lo abbiamo mai visto – o forse come non lo abbiamo mai voluto vedere – e che ora non fa più paura.