Mein Kampf: per fortuna che Saverio Tommasi c’è

Per chi non lo conoscesse, Saverio Tommasi è un reporter toscano, autore di inchieste anche piuttosto interessanti, da qualche anno diventato star del web. Il Nostro, per citare un ottimo ritratto a opera di Leonardo Bianchi su Vice, si è conquistato un seguito di quasi 290mila like su Facebook con un’informazione «fatta di status banali e gonfi di iperboli a buon mercato». Sono il metodo e la forma con cui si esprime sui social e in certi video a essere estremamente dannosi ‒ e non solo perché utilizza gli aspetti più deleteri della prosa di un Massimo Gramellini. «Tommasi riesce ad appiattire ogni tematica e a spalmare quintali di melassa su qualsiasi argomento trattato», sentenzia Bianchi, ed è difficile dargli torto.

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Se abbiamo deciso di parlare di Tommasi, e queste righe sono da intendersi come una lettera aperta a lui diretta, è per le parole con cui si è unito al coro di chi ha stigmatizzato la scelta de Il Giornale di dare in omaggio, con il primo volume di una collana di saggi storici dedicati al Terzo Reich (11,90 euro a volume, il primo è Ascesa e trionfo di William Shirer, uno dei massimi esperti in materia), il Mein Kampf, manifesto del nazionalsocialismo.
A questo proposito Tommasi ieri ha scritto su Facebook: «Il Mein Kampf sarà in regalo con il Giornale, e non è una battuta. Alessandro Sallusti è il direttore del Giornale, e non è una battuta neanche questa. Da sabato undici giugno potrete accaparrarvi il male in edicola con l’orrore. Ah, dimenticavo. Dire “la storia va studiata tutta” è una Schermata 2016-06-11 alle 19.21.39verità, ma detta per giustificare il Mein Kampf in regalo con il quotidiano che non comprerei mai, è fuori tema. La storia si studia sulle fonti, se si è storici, ma per i non storici ci sono migliaia di libri, saggi, approfondimenti, note critiche alle fonti primarie, per capire cosa è stato, e come è potuto accadere, l’orrore dei campi di sterminio. Partire dal Mein Kampf è come partire dalla cacca per studiare l’apparato digerente. Si può anche fare, ma dopo. E dubito che chi compra il Giornale, con allegato il Mein Kampf, abbia già letto Primo Levi, per citarne uno non a caso. Caro Alessandro Sallusti, queste sono le lettere dei condannati a morte della Resistenza. Se vuoi capire la storia, è meglio partire da qui», ed ecco un video di Saverio stesso che legge le strazianti missive. Siamo estasiati dall’eleganza delle motivazioni per cui non si dovrebbe leggere il volume.
Che ci sia un incolmabile scarto fra lo storico di professione e il cittadino comune è lapalissiano, come c’è se prendiamo come esempio l’ingegnere, il matematico, l’avvocato e così via. Quello che Saverio Tommasi dimentica è che non si tratta di una separazione manichea, bensì di due opposti (lo storico e il disinformato) tra i quali figurano innumerevoli e variegate sfumature, tra le quali con poca umiltà si annovera anche chi scrive.
Il Mein Kampf è un testo abbastanza ambivalente: da una parte, come scrive lo storico Francesco Perfetti (autore della critica all’edizione pubblicata dal Giornale), si tratta di un’opera che «oltre a essere logorroica e sovrabbondante, di lettura difficile e faticosa» non è «priva di inciampi stilistici e sintattici», che si rivela un «narcisistico tentativo di autoesaltazione unito a un proposito propagandistico»; se da una parte il giudizio è questo, dall’altra il volume è innegabilmente uno straordinario documento storico, che mostra su quali basi si sia fondata la più grande tragedia dell’umanità.

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Un saggio mediocre, addirittura scadente, di filosofia politica ha portato a un risultato su vastissima scala e questo impone una riflessione: com’è stato possibile? Per rispondere a questa domanda servono alcune elementari basi storiche che contemplano la situazione politica tedesca dopo il primo conflitto mondiale: una depressione e uno scontento enormi che hanno portato Adolf Hitler ad ascendere rapidamente al potere.
Leggere il Mein Kampf è difficile: c’è il rischio di perdersi negli artifici retorici e stilistici che l’Autore utilizza a sproposito per nascondere una cultura abbastanza carente; superato questo ostacolo, la ricompensa è enorme: conoscere il contenuto di questo volume significa avere in tasca un antidoto in più semmai malauguratamente la storia dovesse ripetersi.
Il paragone con Primo Levi è semplicemente assurdo, e pure la frase (colpevole di stile veramente di infimo livello) «Partire dal Mein Kampf è come partire dalla cacca per studiare l’apparato digerente». Lo scrittore italiano è autore di una vasta e valida bibliografia (destinata anche alla divulgazione) che racconta i più deleteri effetti del nazionalsocialismo: opere di indubbio valore storico che però non escludono una lettura attenta e critica del manifesto hitleriano. Per quanto riguarda la metafora della «cacca», essa evidenzia da sé la propria insensatezza: partire dalle deiezioni per studiare l’apparato digerente significa compiere un percorso dal prodotto al produttore, mentre usare il Mein Kampf per studiare il nazismo (affermazione che tra l’altro nessuno ha pronunciato) significa partire dalle fondamenta per esaminare l’edificio. Quest’ultimo metodo, che ‒ripetiamo ‒ nessuno ha mai suggerito, è assolutamente logico: solitamente lo studio dell’impero romano non inizia con la caduta di Romolo Augustolo nel 476.
Rendere accessibile il Mein Kampf significa affrontarlo per quello che è: un’opera filosofica scadente che, a causa delle tragiche azioni compiute dal suo autore, è divenuta un fondamentale documento storico per comprendere il pensiero di un criminale. Proibirne la diffusione (anche riservandola solo agli addetti ai lavori) significa donarle un’aura di proibito che indubbiamente aumenta le aspettative intorno a essa, e questo è l’errore più grande che si possa compiere.
Schermata 2016-06-11 alle 19.21.58Che Saverio Tommasi fosse ossessionato dal nazismo era già evidente l’estate scorsa: di fronte a una vergognosa protesta a Treviso per l’arrivo dei profughi, ecco campeggiare il titolo «IERI HO VISTO HIMMLER». Il post continua come segue: «Ieri a Treviso sono arrivati alcuni profughi e gli abitanti del quartiere sono insorti. Nella notte qualcuno di loro è entrato negli appartamenti e ha incendiato i mobili, i divani, i vestiti, le sedie e perfino le ciabatte destinate ai profughi. Poi il giorno dopo, gli stessi abitanti del quartiere, hanno impedito a una cesta di cibo di arrivare alle bocche dei profughi a cui quel cibo era destinato. Io qualche mese fa sono stato ad Auschwitz, e vi dico che le vostre idee non sono per niente originali, ci avevano già pensato i vostri nonni. Era già accaduto che qualcuno denunciasse la dodicenne clandestina Anna Frank nascosta in soffitta, era già accaduto che la colpa fosse data ai rom e ai sinti, tra lʼaltro gli unici popoli che nella storia umana non hanno mai dichiarato una guerra. Era già accaduto che gli invalidi, gli handicappati e i matti fossero allontanati perché erano un costo. Era già accaduta, insomma, la storia del capro espiatorio». Una straordinaria reductio ad Hitlerum, come la definisce intelligentemente il già citato Leonardo Bianchi su Vice.
Forse sarebbe il caso che Saverio Tommasi, e tutto il pressapochismo e le chiacchiere da bar che si porta appresso, desse un po’ di fiducia ai suoi concittadini: questi riescono a comprendere un fenomeno anche senza le sue semplificazioni e i suoi paragoni insensati, questi riescono a leggere col dovuto distacco (anche grazie all’utile e ben fatta introduzione di Francesco Perfetti) il Mein Kampf. Il malcelato paternalismo, figlio della peggiore cultura di sinistra, che Saverio Tommasi emana in ogni sua esternazione, è uno dei motivi per cui siamo un popolo di serie B.
Il diretto interessato non risponderà mai a questa lettera aperta, spero almeno che lo facciano i nostri lettori.