Insegnare la religione a scuola costa 800 milioni

Varie caratteristiche dello Stato italiano non possono che apparirci solamente teoriche. Tra queste, spicca senza dubbio la laicità. Una delle ragioni che induce molti a metterla in dubbio è l’ora di religione a scuola, o, più correttamente, insegnamento della religione cattolica (Irc), introdotto dalla riforma Gentile del 1923 per le scuole elementari ed esteso a medie e superiori col Concordato Stato-Chiesa nel 1929. Nonostante qualcuno si lanci in apologie affermando che si tratti dello studio del mondo della religione in senso lato, è chiaro e inoppugnabile che si fa riferimento alla dottrina della Chiesa Romana. A riprova di ciò, si può citare l’art. 1 dei Nuovi Programmi Irc: «Nel quadro delle finalità della scuola e in conformità alla dottrina della Chiesa cattolica, l’I.R.C. concorre a promuovere l’acquisizione della cultura religiosa per la formazione dell’uomo e del cittadino e la conoscenza dei principi del cattolicesimo che fanno parte del patrimonio storico del nostro Paese».
La retribuzione degli insegnanti di questa materia costa al Miur 800 milioni l’anno, una cifra che – se ci pensiamo – potrebbe essere facilmente azzerata affidando questo compito esclusivamente ai catechisti delle parrocchie, dove bambini e ragazzi devoti possono conoscere e approfondire la parola di Dio nel loro tempo libero.
Questo fondo economico potrebbe essere devoluto, unitamente alle quattro ore mensili rimaste vacanti in seguito all’abolizione dell’Irc, all’introduzione di un serio approccio all’educazione civica. Si deve ad Aldo Moro un timido inserimento di questa disciplina nel programma degli istituti secondari come integrazione dell’ora di storia, nel lontano 1958. Purtroppo, dopo quasi sessant’anni, lo studio dell’apparato statale non è ancora riuscito ad acquisire una sua dignità indipendente, ma è rimasto intrappolato tra le nozioni storiche e quelle di geografia, spesso del tutto ignorato. I tristi risultati di questa mancanza sono scritti nero su bianco; un recente sondaggio, infatti, ha decretato che solo l’11% della popolazione ha letto la Costituzione e ne rammenta a grandi linee i principi. Insomma, gli italiani sono dei giocatori all’oscuro delle regole del gioco.
Il nostro Paese dovrebbe strappare tempo alla religione anche per quanto concerne l’educazione all’affettività, definibile del tutto assente nelle aule della penisola. Come noi, nell’Ue, soltanto Polonia e Bulgaria. La ministra uscente Giannini ha annunciato, qualche mese fa, l’approdo di linee guide inerenti la sessualità, tuttavia, anche qui, nessun monte ore è stato destinato al tema. L’intimità, perciò, resta per la maggior parte dei nostri piccoli una sfera da esplorare da soli con tutte le difficoltà e le incomprensioni dovute alla tenera età, spesso cagionando disinformazione e, una volta cresciuti, errori che si sarebbero potuti semplicemente evitare con delle sane spiegazioni.