Violenza ostetrica: la storia di Giulia e del suo parto traumatico

La chiameremo Giulia questa giovane donna. Giulia, una madre con una storia delicata da condividere che non ha avuto vergogna di chiedere aiuto.
Ha solo vent’anni, ma cadreste in errore se pensaste che lei abbia vissuto la sua gravidanza e il successivo parto con la leggerezza e l’inconsapevolezza tipicamente riconducibili alla gioventù. Si è preparata informandosi tramite letture specifiche, con serenità e accuratezza, confrontandosi con il personale medico, ma anche chiedendo consiglio ad amiche e parenti che già avevano affrontato quel dolce percorso. Giulia conosce, in teoria, tutte le fasi e i momenti sofferti che condurranno alla vita il suo piccolo Simone. Così non si allarma alle prime contrazioni, giunte con puntualità al termine previsto, ma le monitora con prudenza, facendosi accompagnare in ospedale solo quando queste si manifestano più intense e ravvicinate: «Pensavo che il mio bimbo stesse per nascere, poi il medico mi ha comunicato che ero dilatata solo di 3 cm. Decisamente troppo poco».
La ricoverano e le attaccano il tracciato per verificare in tempo reale le condizioni del bambino. «Francesca, l’ostetrica a cui sono stata inizialmente affidata e con cui ho trascorso tutta la notte, era gentile e comprensiva, mi incoraggiava. Mi ha fatta accomodare in un’apposita doccia che avvolge la partoriente con getti d’acqua calda, che apporta grandi benefici in queste condizioni. In quel momento stavo bene e sapevo che tutto procedeva come dovuto».
Intanto si fa giorno ed è tempo del cambio turno: «Al posto di Francesca, è arrivata Noemi, poco più grande di me, che io mi limiterò a chiamare ragazza, perché definirla ostetrica non mi sembra corretto».
Ecco l’inizio di ciò che la protagonista di questa storia non aveva in alcun modo previsto, né pensava potesse mai accadere. Noemi si rivela immediatamente inadeguata, persino svogliata. Costringe Giulia, dilaniata dalla sofferenza, a posizionarsi sotto la doccia, contro la sua volontà, per giunta azionando solo il getto d’acqua che raggiunge la testa, esponendo al freddo tutto il resto del corpo: «Una donna che sta affrontando quei dolori atroci, stremata da ore di fatica, deve essere assecondata e non forzata. Per essermi ribellata a ciò che mi ordinava di fare, sono stata definita prepotente».
Anche quando Giulia viene fatta posizionare per due ore carponi sul letto per far muovere il bebè (che aveva solo ruotato nel senso opposto, non era podalico) dalla parte più agevole all’espulsione, l’ostetrica si dimostra sgarbata e per nulla empatica: «Mi ordinava di non urlare, di stare brava, mi reputava capricciosa e mi diceva che lì il bambino era quello che dovevo far nascere e non io». La giovane mamma si sente, di conseguenza, sempre più umiliata e psicologicamente fragile, non è in grado nemmeno più di concentrarsi sul parto, ma precipita nel suo malessere interiore causato dal quel crudele trattamento.
Le angherie, purtroppo, si succedono repentine. La «ragazza» fa stendere Giulia e, senza avvertirla, le rompe le acque, accusandola inoltre di fingere le contrazioni: un altro duro colpo. Poco dopo, il ginecologo annuncia che è necessario il taglio cesareo, poiché il bambino permane nel verso sbagliato e questo non permette la dilatazione adeguata, non avendo comunque ripercussioni sulla sua salute: «Altre ostetriche con cui ho avuto contatti successivamente mi hanno spiegato che in questo caso non si procede mai col cesareo. Simone sarebbe, dunque, potuto nascere naturalmente».
In sala operatoria, la partoriente continua a subire violenze ingiustificabili: «Mi hanno infilato trenta volte un ago nella spina dorsale per anestetizzarmi dall’addome in giù, non lo dimenticherò mai. Non capivano che, con le contrazioni e le spinte, io immobile come volevano loro non potevo stare. Per questo, il ginecologo mi ha implorata di non fare più figli». L’anestesista si arrende e conclude: «Cazzi suoi se non vede nascere suo figlio» e pone sulla bocca di Giulia la maschera per addormentarla. Questa madre, che si risveglia trovando il suo bimbo già lavato e vestito, è amareggiata anche da un altro aspetto della vicenda: «Mi hanno negato il primo contatto, pelle a pelle, con mio figlio».
Questo è il racconto di una delle tante vittime nascoste di violenza ostetrica. Una di quelle fortunate, però, perché è stata attorniata dall’amore dei familiari e dalla cura di esperti che l’hanno risollevata da quello che lei stessa ha descritto come un inferno e che l’hanno salvata dal vortice della depressione post partum a cui altre signore con casi analoghi sono andate incontro.