«Lui mi picchiava, ma non sono stata aiutata»

Questa non è una storia d’amore. Non aspettatevi che vi si scaldi il cuore con il racconto di romantici istanti idilliaci. O meglio, questi sono esistiti, ma brillavano qua e là, di una luce fioca, insufficiente, nelle tenebre di una notte dalla quale, nell’apice del buio, pareva impossibile poter fuggire. Non illudetevi neppure di tirare un sospiro di sollievo nell’approssimarvi alle ultime righe: no, nessun lieto fine. O meglio, troverete una nota gioiosa, ma quella fa parte della rinascita, quello è un altro libro, tutt’altro genere. Ne parleremo, dunque, più avanti.
Non potrete conoscere l’identità della protagonista, ci limiteremo a utilizzare le iniziali E.N. per fare riferimento a lei. Possiamo, tuttavia, riportarvi che è una giovane piemontese, di un piccolo comune nei dintorni di Alba e che sfoggia un sorriso smagliante che non lascia trasparire i buchi neri di dolore che l’hanno inghiottita tempo fa. Lei, però, ne vuole parlare, perché ormai sono anni luce lontani dalla quiete riconquistata; al contempo, è consapevole che altre persone versano ancora in quella condizione, immerse nell’incomunicabilità, nell’illusione che quegli sfregi, quell’umiliazione facciano parte del gioco in fin dei conti, che costituiscano un aspetto, seppur poco piacevole, dell’amore.

Non giriamoci troppo intorno: questa ragazza è una vittima di violenza da parte di quello che è stato il suo partner quando era ancora più piccola, poco più che ventenne. Tramite amicizie in comune, iniziano a conoscersi, il sentimento s’infiamma e cresce molto in fretta: «Dopo poco tempo, forse quattro o cinque mesi, abbiamo preso la decisione di andare a convivere. Stavamo benissimo, lui era perfetto: mi aiutava in casa, si occupava di tutto quando io ero al lavoro, funzionavamo insieme». I primi tempi trascorrono, è evidente, in spensieratezza e nulla fa presagire la piega che avrebbe preso quella relazione. O quasi: «Aveva il vizietto di bere. Vedevo che la sua espressione, in preda all’alcool, diventava piena d’ira, cambiava faccia. Io però non ci davo tanto peso». Inizialmente il suo compagno, che chiameremo col nome di fantasia di Luca, risulta aggressivo, ma sfoga la sua rabbia solo sugli oggetti. Poi le cose precipitano: «Ha iniziato a comportarsi male anche nei miei confronti. Ricordo che una sera, in una discoteca, è uscito dal bagno tenendo per mano un’altra ragazza. Io, spiazzata, l’ho affrontato per capire che cosa stesse facendo. Di tutta risposta, mi ha spintonata di fronte a tutti, senza alcuna vergogna».

Da lì in avanti, i rapporti tra loro si fanno man mano sempre più inquinati dalla violenza, per di più priva di apparenti motivi. E. resta totalmente attonita: «Gli episodi peggiori si sono verificati quando io, lavorando nel week-end, non andavo a ballare il sabato sera, non potendo fare tardi. Lui usciva, ma a me questo non creava dispiacere, sono una persona che lascia libertà. Purtroppo, però, si ubriacava e probabilmente faceva anche uso di droghe (gli hanno pure tolto la patente) e io, al suo ritorno a casa, ne pagavo le conseguenze. Arrivava con gli occhi sgranati, con una cattiveria esplosiva che sprigionava su di me, senza motivo.  Senza neanche parlarmi, mi riempiva di botte».

La giovane viene avvolta da un vortice di sofferenza, ma non è in grado di capacitarsene, neanche lo ammette a sé stessa: «Mi manipolava completamente. Mi induceva a pensare che quello fosse amore. Lo giustificavo, mi dicevo che lo faceva a causa della sua difficile situazione famigliare». Come ogni soggetto di questo genere,  Luca mira a riconquistare la partner maltrattata, alternando momenti di puro odio, a episodi di massima dolcezza che tendono a far dimenticare quegli atti tanto carichi di dolore: «Ad esempio, un giorno mi ha fatto trovare un castello di cartone da lui stesso costruito, pieno di post-it con su scritte tenere dediche e dichiarazioni sentimentali».

Dopo ogni fase zuccherina, giunge, come dicevamo, una nuova dose di sopraffazione, quella che parzialmente scorgiamo nella foto qui riportata: «È arrivato a cospargermi di graffi e lividi. Una volta, avevo il viso così provato dalle percosse che per giorni mi sono chiusa in casa senza neanche recarmi al lavoro. Mi vergognavo a uscire per come mi aveva ridotta».
E. prova in tutti i modi a celare le violenze a cui è sottoposta, ciononostante i suoi genitori riescono a captare il suo disagio e la spronano a denunciare. Lei si dimostra riluttante, con pochissima fiducia verso le forze di polizia.

Continua, così, a sopportare. Passano i mesi e però finalmente qualcosa scatta in lei. Grazie alla vicinanza della famiglia e degli amici più intimi trova il coraggio di rivolgersi alle istituzioni. Munita della fotografia che la ritrae con i segni dell’aggressione ben evidenti sul volto, la ragazza racconta di essersi presentata alla locale stazione dei Carabinieri, accompagnata dal suo migliore amico: « Ho esposto tutti i fatti, ho mostrato loro quell’immagine, ma non è bastato. Mi hanno risposto che era passato troppo tempo e che si trattava della mia parola contro la sua, perciò loro non potevano aiutarmi». I due giovani rimangono senza parole, si sentono traditi da quegli uomini in divisa che speravano avrebbero potuto cambiare in positivo il corso delle cose. La già flebile fiducia di E. nello Stato si spegne definitivamente, per cui non tenta più di presentare querela ai danni di Luca. Matura, però, la faticosa decisione di abbandonarlo. Lui si ostina a cercarla, ma E. torna piano piano a respirare la vita.  E l’amore. Sì, è questa la gioia di cui vi abbiamo anticipato: «Oggi ho al mio fianco un fidanzato speciale che mi ha aiutata a guarire dalle mie ferite. Ora ho compreso che cos’è un sentimento sano». Sebbene abbia accantonato quella parentesi di sofferenza, ci tiene a parlarne: «Farlo mi dà tanta forza, è segno che ho superato tutto e che sono più forte di prima». C’è, infine, una nota amarissima.  E. vuole diffondere il suo trascorso anche perché sa che altre donne stanno vivendo situazioni analoghe. Purtroppo, anche la nuova morosa di Luca che, come lei un tempo, subisce in silenzio. È un invito, pertanto, a non incassare più quei colpi, ad alzare la testa, a lasciare per sempre questi esserii abominevoli e a farsi ascoltare: se non vi credono, se sottovalutano, se vi dicono che è troppo tardi, voi non schiodatevi da quel commissariato e fate valere i vostri diritti.