In morte di Andrea G. Pinketts, l’ultimo punk

Ieri è morto l’ultimo punk italiano. Scrittore e giornalista, Andrea G. Pinketts (al secolo Andrea Pinchetti) ha avuto tantissime vite: prima pugile e poi modello, attore in un film di Carlo Vanzina, giurato del reality La pupa e il secchione, tanto per citarne qualcuna, di queste esistenze così diverse e apparentemente contraddittorie. Ha iniziato a pubblicare a 30 anni, nel 1991 e il suo ultimo romanzo è stato La capanna dello Zio Rom del 2016.

Pinketts era malato da tempo. Due carcinomi l’hanno aggredito, uno dopo l’altro e ci hanno messo un anno a sconfiggere l’ultimo ribelle dell’arte italiana. I suoi libri sono una strana forma di letteratura, unendo l’umanità del suo alter-ego Lazzaro Santandrea alla descrizione dissacrante della realtà che ci circonda.
Meno noto, nella sua biografia, è il fatto che abbia contribuito – attraverso delle vere e proprie inchieste – alla soluzione di alcuni casi di cronaca: da quello della setta dei Bambini di Satana a quello del Mostro di Foligno.
Personaggio originale, atipico, che usava scrivere nei bar davanti a una birra. Il tutto ovviamente con Milano come sfondo. La sua Milano, teatro di tantissime delle sue storie. Uomo dall’abbigliamento eccentrico, con dei gessati appariscenti e dei cappelli altrettanto evidenti, Pinketts piaceva alle donne, e probabilmente avrebbe voluto che fosse scritto, questo particolare, nel suo coccodrillo. Aveva una schiera di ammiratori estremamente vasta, i pinkettsiani, che in queste ore gli mandano l’ultimo saluto sulla sua pagina Facebook, sotto l’ultimo video, pubblicato il 27 novembre scorso.

Proprio questo video mostra la vera anima di Andrea G. Pinketts, lo vediamo seduto su una sedia a rotelle, visibilmente sofferente. Ha deciso di condividere con la sua famiglia di ammiratori com’era in quel momento, senza nascondere nulla della malattia contro cui stava combattendo.
«Il dolore è sordo, il dolore è muto. Il dolore è sordomuto. Sordo perché ascolta solo se stesso, muto perché non ci sono parole che possano parlarne» (Da L’assenza dell’assenzio)