L’Eco di Umberto, le lezioni sui mass media a tre anni dalla morte

Il 19 febbraio di tre anni fa si spegneva Umberto Eco, semiologo, letterato e uomo di cultura per eccellenza. Considerato un punto di riferimento nella scena culturale italiana fin dall’inizio della sua carriera, Eco ha proposto negli anni riflessioni sempre puntuali ed accurate, caratterizzate da un tono insieme ironico e accademico, circa la società a lui contemporanea. A ragion di ciò, gli interventi dello studioso nelle questioni dell’attualità possono essere considerate autentiche forme di attivismo sociale, dimostrazioni del possibile e fruttuoso dialogo tra istanze del presente e competenze dei saperi millenari.

In un contesto storico dove i principali mass media, primi fra tutti i social network, si prestano a diffondere i più svariati messaggi pubblicitari e di propaganda politica e dove perfino il Ministro degli Interni intrattiene il suo elettorato a colpi di tweet, le dure affermazioni di Eco in materia di massmediologia non possono che apparire calzanti. «A quei tempi la televisione faceva bene ai poveri e faceva male ai ricchi, (…) Internet è esattamente l’opposto: fa male ai poveri, ma fa bene ai ricchi», dichiarava nel 2014 durante un incontro all’Università degli Studi di Milano. Il rischio rappresentato dai social, riconducibile in primo luogo al fatto di «aver dato voce agli imbecilli», espressione dello stesso Eco, viene così identificato nell’insidioso processo attraverso cui si è reso legittimo che fossero gli utenti stessi a venire oppressi da un’abbondanza indiscriminata di informazioni. L’estrema facilità con cui si può accedere oggi ai social ha finito per impoverire il ruolo stesso della comunicazione dando la possibilità a pochi acculturati, o per meglio dire informati, di discernere una bufala da un’affidabile notizia, lasciando i più in balia di questo mondo virtuale.

Pretendere che tutti acquisiscano competenze tali da assicurare loro una sicura navigazione nell’immenso mare di informazioni reperibili su Internet è evidentemente una follia, lo stesso Eco si sarebbe probabilmente trovato in difficoltà a giudicare l’affidabilità di un sito che parlasse di fisica quantistica e il fatto di per sé sarebbe risultato del tutto naturale. Eppure, anche alla luce di quanto appena affermato, il problema del filtraggio sembra rimanere per Umberto Eco solo apparentemente irrisolto. In «Un appello alla stampa responsabile» , comparso su L’Espresso nel giugno 2015, lo studioso propone di dedicare due pagine di quotidiano all’analisi dell’affidabilità dei siti web, «un immenso servizio reso al pubblico, l’inizio di una nuova funzione per la stampa». Un’impresa che nei fatti non ha mai trovato concretizzazione e che tuttavia sarebbe stata in grado di risollevare le sorti e la percezione del giornalismo in un Paese che sembra aver perso stima e fiducia in quella professione in grado di unire senso critico e partecipazione storica a doti narrative. 

A tre anni dalla scomparsa di Umberto Eco, il rischio di rimbecillirsi di fronte allo schermo di un computer rimane alto, ma gli insegnamenti del grande maestro risuonano più attuali e necessari che mai, ponendoci di fronte all’estrema necessità di riabilitare la cultura giornalistica e non, per garantirci un’esistenza consapevole in una realtà sociale di cui sembriamo essere diventati indifferenti protagonisti. Se di Umberto Eco ce n’è stato uno solo, lasciamo che almeno la sua eco sopravviva.