Occuparsi di Somalia, pagarne le conseguenze: il libro di Tito Borsa

Pubblichiamo la introduzione di «L’Affaire Somalia. Romanzo di una strage» dell’ex direttore de La Voce che Stecca Tito Borsa, uscito il 7 gennaio 2020. Si può acquistare da tutti gli store digitali e da quello ufficiale di Youcanprint


Dal 1986 in Somalia è in corso una guerra civile. Sono passati più di trent’anni da quando è scoppiata e da allora le vittime accertate sono state quasi 400mila, anche se il sospetto è che siano molte di più. Il conflitto può essere diviso idealmente in tre parti: la prima (1986-1991) riguarda la ribellione contro il regime di Siad Barre, caduto appunto nel ’91; nella seconda (1991-2000) si sono fronteggiati i tanti signori della guerra locali; la terza fase infine (dal 2006) vede il governo internazionalmente riconosciuto – che però non controlla ancora tutto il territorio nazionale – fronteggiare prima i ribelli dell’Unione delle corti islamiche e poi i gruppi di Al-Shabaab, legati a doppio filo al terrorismo connesso con il fondamentalismo islamico. 

In questo volume noi ci occuperemo principalmente della seconda fase della guerra civile, in particolare del periodo che va dal 1991 al 1996, anche se ciò che è accaduto prima è fondamentale per comprendere collegamenti e rapporti di causa-effetto con ciò che ci interessa. 

La guerra civile in Somalia da una parte ha portato alla completa distruzione di un Paese, ma dall’altra ha significato lucrosi affari per tanti soggetti, molti dei quali italiani. 

Chi ha provato a raccontare la Somalia molto spesso non è finito bene: nel migliore dei casi è stato rapito, picchiato oppure accusato pubblicamente di estorsione da un rappresentante delle istituzioni, nel peggiore dei casi è morto. Stiamo parlando sì dell’omicidio della giornalista del Tg3 Ilaria Alpi e del suo operatore Miran Hrovatin avvenuto a Mogadiscio il 20 marzo 1994, ma non solo di quel caso. 

La Somalia ha significato per molti colleghi (o aspiranti tali) un modo per mettersi in mostra agli occhi dei direttori e delle redazioni di autorevoli giornali. Questo non significa che questi giornalisti avessero necessariamente per le mani grandi scoop, ma muoversi nel contesto estremamente caotico di una guerra civile senza preparazione oppure senza il «paracadute» di un contratto con un giornale, poteva essere rischioso. La possibilità di pestare i piedi a più di qualcuno era piuttosto concreta. 

Stiamo parlando di probabili soliti ignoti, per rifarci al capolavoro di Mario Monicelli. Non la Alpi e Hrovatin, naturalmente, bensì gli altri protagonisti di questa storia che, probabilmente, hanno tentato il colpaccio Somalia approfittando di una guerra civile assai generosa di notizie e in cui i collegamenti con personaggi importanti erano tanto frequenti quanto facilmente dimostrabili. 

I soliti ignoti tra i giornalisti sono finiti esattamente come i personaggi del film di Monicelli: in mano gli è rimasto solamente un pugno di mosche dopo essere spariti anche dalla memoria collettiva. L’affaire Somalia poteva essere il trampolino di lancio per delle brillanti carriere giornalistiche ma tutti coloro che hanno intrapreso questa strada oggi fanno tutt’altro. A riprova del fatto che forse non avevano in mano niente di rilevante, o – ammesso che ce lo avessero davvero – non sono stati in grado di pubblicarlo. 

Ma la storia che stiamo per raccontarvi non è quella dei giornalisti o presunti tali che sono affogati nell’oblio del tempo, bensì quella di una vicenda, la guerra civile somala, che ha divorato chi ha cercato di fare chiarezza andando oltre la nuda cronaca di quello che succedeva dalle parti di Mogadiscio o di Bosaso. 

Sono passati quasi trent’anni. Gran parte dei protagonisti di questa storia sono morti oppure sostengono di non ricordarsi importanti dettagli su quello che è successo. Per fortuna ci sono i documenti che possono servire per mostrare i tantissimi punti oscuri che ci sono ancora e che, pur riguardando una guerra relativamente lontana da noi, coinvolgono direttamente il nostro Paese e le nostre istituzioni. Nulla di penalmente rilevante, per carità, almeno tra ciò che si riesce a dimostrare, ma quello che viene fuori è comunque fondamentale per dare un senso a scelte politiche e affaristiche di persone importanti di cui si continua a parlare.