Tumulti nelle carceri e divieti infranti: un punto di vista socio-giuridico (intervista)

Il Professor Giovanni Torrente, docente del Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Torino, ha risposto ad alcune domande concernenti le reazioni della popolazione carceraria e dei comuni cittadini in relazione alle restrizioni imposte in questa emergenza sanitaria di Coronavirus.

  

La cronaca ha riportato i tumulti che si sono scatenati in alcuni istituti penitenziari italiani, tumulti sfociati anche in evasioni e decessi. Lei crede che i detenuti abbiano astutamente approfittato della situazione d’emergenza o che le misure ulteriormente restrittive a loro destinate abbiano rappresentato la cosiddetta goccia che fa traboccare il vaso?

Difficile dirlo in maniera così netta. Ci sono alcuni dati da tenere in considerazione. La nostra popolazione detenuta è caratterizzata da soggetti estremamente marginali, spesso con problemi di tossicodipendenza, spesso con problemi di carattere psichico, quando non psichiatrico. Quindi, una marginalità estrema che in molti casi- detto in maniera brutale- ha poco da perdere.
Al tempo stesso, le condizioni strutturali delle carceri sono gravi nella maniera che sappiamo: il sovraffollamento e un numero ancora molto elevato di persone con un residuo pena relativamente basso. Abbiamo una significativa percentuale di persone con una pena inferiore all’anno, inferiore ai due anni.

Quali soluzioni potrebbero essere adottate nell’immediato in Italia per contenere sia il malcontento della popolazione carceraria sia la diffusione del virus all’interno delle strutture?

In questo momento in cui abbiamo un eccesso di sovraffollamento e un eccesso di tensione interna dovuta anche, certamente, al panico legato al virus, probabilmente facilitare l’uscita dal carcere attraverso la detenzione domiciliare o altre misure alternative per soggetti che hanno un fine pena residuo non elevato sarebbe quantomeno opportuno.
L’Associazione Antigone ha previsto due interventi immediati. Da un lato, come dicevamo, facilitare il più possibile, anche con provvedimenti d’urgenza l’accesso a misure alternative per persone con un esiguo residuo pena, perché è davvero significativa la percentuale di detenuti che deve scontare ancora uno, due o tre anni. Per questi soggetti ci sono poche ragioni per cui trascorrano il resto della condanna in carcere. Un’altra misura è, nel momento in cui non si possono fare le visite in carcere,  siccome bisogna limitare il più possibile i contatti con l’esterno, agevolare le telefonate: quelle ordinarie, via Skype, utilizzo di WhatsApp. Noi abbiamo chiesto di prevedere venti minuti al giorno dedicati.

Che cosa pensa della misura messa in atto dall’Iran, vale a dire la fuoriuscita di 70mila detenuti, con l’obiettivo di contenere il Covid19?

Quella adottata dall’Iran è sicuramente una misura emergenziale che assomiglia molto a un provvedimento di clemenza. Risponde a un dato. Certamente le istituzioni totali, nel caso di un’epidemia come quella che stiamo vivendo, sono i luoghi dove è più facile che si scateni il panico. Proviamo a immaginare che cosa vuol dire un’infezione di questo tipo in un luogo chiuso dove si è per forza a contatto con altre persone, dove magari anche l’intervento volto all’isolamento delle persone non è immediato. Ecco che allora qualsiasi azione di questo tipo è senza dubbio opportuna.

Passando invece alle restrizioni imposte dal Dpcm, non crede si tratti solo di una legge manifesto, vista la scarsità di controlli e di risorse stanziate per la sua implementazione?

Sicuramente sarà difficile applicare delle sanzioni nei confronti di chi non si attiene alle restrizioni. Non è un caso che il Governo e gli altri rappresentanti politici stiano agendo molto sul piano dell’enfasi morale. Si cerca, attraverso la norma, di darle una funzione pedagogica. Insomma si tenta, mediante la norma, di incentivare comportamenti eticamente corretti.

Perché, a suo avviso, i cittadini in larga parte non si attengono alle prescrizioni, arrivando a creare assembramenti e a viaggiare da un capo all’altro della Penisola, nonostante infrangerle costituisca reato?

Le motivazioni sono tra le più svariate, tra le quali non occorre escludere il desiderio di allontanare la paura, di allontanare l’emergenza, del ritorno alla normalità. Pensiamo in periodo di  guerra, succedevano queste cose. Le persone tendevano a cercare delle forme di normalità ed ecco che, anche in un momento di questo genere c’è una difficoltà ad accettare un’emergenza così radicale. Questo può essere uno degli aspetti.