Turismo: futuro da scrivere? Il settore ha bisogno di una visione

Il turismo italiano è stato schiantato dalla pandemia, di questo se ne sono accorti tutti.
L’indotto diretto e indiretto di questo settore ha garantito lavoro fino a oggi a 3,5 milioni di addetti nel nostro paese (fonte Enit 2018), vale a dire circa il 15% dell’occupazione totale.

Negli anni abbiamo visto susseguirsi vari tentativi di rendere il turismo del Bel Paese, una fonte di giacimenti inestimabili di un motore tutto nuovo dell’economia nostrana, in cui le promesse spesso si sono sprecate e manca tutt’oggi una visione comune d’insieme.

I ristori sono certamente una parte fondamentale per le attività colpite, ma solo per la situazione che ci siamo lasciati alle spalle, mentre le esigenze del settore chiedono a gran voce di guardare al futuro bisogna tenere conto del fatto che il turismo necessita di tre considerazioni fondamentali.

In primis, una visione logica e radicata di un progetto sul territorio, cosa non da poco se teniamo conto che spesso in una sola regione abbiamo esigenze che vanno dalle città d’arte ai paesaggi vitivinicoli, montani, laghi e provincia.

Poi, una spesa continua in innovazioni e delineamento delle professioni (Fondazione Obbiettivo Lavoro aveva mappato un atlante di oltre 200 profili necessari al mondo turistico tra addetti classici e nuove figure di frontiera), che vuole dire creare e dare l’opportunità ai giovani di poter pensare un modello di business fondato sullo stato dell’arte: Più facile a dirsi che a farsi.

Soprattutto, una continua attenzione alla ricerca dei fondi utili per concepire le prime due cose, anche qui, un lavoro tutt’altro che semplice.

Che cosa stiamo facendo per il settore? A settembre di quest’anno è nato il Fondo Nazionale del Turismo, per mano della Cassa Depositi e Prestiti, la quale però sembra focalizzare gli sforzi, almeno secondo le parole del ministro Franceschini, per gli alberghi.

Certo, l’accoglienza tradotta in posti letto è una delle più colpite dalla crisi pandemica assieme a tutti gli altri attori, ma nuovamente si ha l’idea che si affronti un problema sedimentato come la riqualificazione delle strutture alberghiere, le quali hanno sicuramente bisogno di una mano, ma di nuovo, pare continuare a mancare una visione.

Un esempio.
C’è da dire che molte regioni hanno iniziato a conciliare i dati sulle strutture ricettive come il numero di letti, stagionalità e periodo di attività, solo da un anno, attraverso il sistema TUAP, ovvero l’acquisizione di conoscenza dei flussi turistici sul territorio. Vale a dire che abbiamo una stima più che dati certi sulle attività alberghiere del paese, il che porta a politiche non precise, tradotte poi in cerotti che hanno spesso poca aderenza alle reali esigenze del mondo in questione.

Quindi come si fa?
Il futuro non è chiaro, anzi. Pochi turisti forse, meno viaggi nel centro città e attività di massa, si prevedono anche meno congressi (tanto per rimanere in tema hotel e risistemazione degli stessi).
Probabilmente bisognerà ripensare al turismo dei prossimi anni come a un ecosistema concentrato in piccoli gruppi in spazi aperti, in cui ognuno opterà per scelte ed esperienze sempre più autonome e mirate.

Nasce l’esigenza quindi di provare a mettersi al tavolo e rivedere con cura cosa ci siamo lasciati dietro, cercando di migliorare quanto fatto fino a ora e dare valore a un mondo che necessita di essere visto come un investimento e non più come un punto di domanda.

Forse è il momento per gli spazi verdi, per risistemare e coniugare opere d’interesse storico con attività produttive, attraverso percorsi come sentieri e passeggiate. Sembra poco, ma il nostro turismo è fatto anche dai piccoli comuni, tesori locali dispersi sul territorio.
Forse è questo un piccolo punto di partenza, tessere una rete che metta insieme i piccoli territori, dove si crea l’eccellenza e dove si può sicuramente fare di meglio, da pochi per tanti.