Fiducia: Conte ce la fa, ma del doman non v’è certezza

Apparentemente la tempesta è scampata. L’inspiegabile crisi di governo innescata da Matteo Renzi, che ha ritirato dall’esecutivo le due ministre di Italia Viva, pare essersi conclusa. Giuseppe Conte ha ottenuto la fiducia alla Camera e al Senato. A palazzo Madama, bisogna dirlo, per il successo del premier è stata indispensabile l’astensione dal voto da parte dei senatori di Iv. Ieri è stata raggiunta la maggioranza relativa, non quella assoluta, ma – sostengono i ben informati – per i voti mancanti basterà aspettare i soliti pronti a salire sul carro del vincitore. Vedremo.

La tempesta, dicevamo, è scampata o, perlomeno, rimandata a data da destinarsi. Ora bisogna vedere quali saranno le richieste dei «responsabili» (o «costruttori», che dir si voglia) che sicuramente vorranno essere premiati per aver salvato il Governo. Si parla già di un ampliamento dei ministeri: dalla divisione in due di quello delle Infrastrutture e dei Trasporti alla resurrezione di quello alle Pari Opportunità.
Sono stati utili al raggiungimento dei 156 voti a favore anche due senatori di Forza Italia, Mariarosaria Rossi e Marco Causin, che sono stati immediatamente cacciati dal partito di Silvio Berlusconi.

Che rimanga agli atti una parte del discorso che Matteo Renzi ha rivolto a Giuseppe Conte: il premier «ha cambiato la terza maggioranza in tre anni, ha governato con Matteo Salvini. Oggi so che è il punto di riferimento del progressismo e ne sono contento, ma ha firmato i decreti Salvini e quota 100. Ora si accinge alla terza maggioranza diversa ma ci risparmi di dire che l’agenda Biden è la sua agenda dopo aver detto che l’agenda di Trump era la sua sua agenda. Se va all’assemblea generale dell’Onu e rivendica il sovranismo, non può dirsi antisovranista, se va alla scuola di Siri e si dice populista, ora non può dirsi antipopulista. Non può cambiare le idee per mantenere la poltrona».

Rendono perplessi queste parole perché, se vi ricordate, nell’estate 2019 fu Matteo Renzi il «demiurgo» del governo Conte 2, sostenuto da M5S, LeU, Pd e Iv. Evidentemente un anno e mezzo fa l’ex premier non era così schizzinoso. Renzi poi probabilmente si è dimenticato che, dopo le elezioni del 2018, fu proprio lui – ospite a Che tempo che fa di Fabio Fazio – a distruggere le trattative tra Pd e 5 Stelle per un governo che unisse i pentastellati e il centrosinistra. Quindi, per fare un salto logico piuttosto banale, fu proprio Renzi a mettere i 5 Stelle nelle mani di Salvini, salvo poi costruire un anno e mezzo dopo quello stesso governo che aveva raso al suolo sul nascere.

Che cosa succederà adesso? Difficile a dirsi. La speranza di chi scrive è che questa crisi di governo si risolva nel modo migliore possibile e nel minor tempo possibile. L’emergenza Covid non è ancora finita ed è appena iniziata l’imponente campagna vaccinale. Un esecutivo debole, lento e preso dai propri problemi interni è l’ultima cosa di cui ha bisogno l’Italia, ma è anche vero che nessuno deve augurarsi un ritorno delle larghe intese di montiana, lettiana e renziana memoria. In un momento storico come questo, ancor di più che negli anni «normali» che ci hanno preceduto, un Governo che abbia un’idea forte da portare avanti è essenziale.

È avvilente che questa ricerca dei voti di fiducia si sia tradotta in un pallottoliere per contare quanti ne mancavano e si sia perso qualunque riferimento ai contenuti. Basti guardare gli interventi di Giorgia Meloni lunedì, e quelli di Matteo Salvini e di Matteo Renzi ieri. Si criticava la ricerca di voti da parte del governo, ma non si entrava nel merito di nulla, per quanto riguarda i due leader di centrodestra. Matteo Renzi, invece, ha fatto la lista della spesa di tutte le cose che avrebbero generato questa crisi di governo ma che poteva benissimo elencare cercando di realizzarle dall’interno dell’esecutivo. Il premier ha poi fatto promesse su promesse, con l’evidente obiettivo di convincere i dubbiosi, arrivando a citare il «preoccupante calo demografico», come a rincorrere invano il voto dell’ex pentastellata Tiziana Drago. Va bene che, in politica e specialmente nel nostro Paese, verba volant, però le promesse sono promesse, e siamo curiosi di vedere che cosa verrà fuori. Curiosi, sì, ma anche abbastanza preoccupati.