Imperialismo finanziario: da Lenin ai giorni nostri

«L’imperialismo, fase suprema del capitalismo» è un saggio di Vladimir Lenin pubblicato nel 1917 nel quale egli descrive i meccanismi del capitalismo finanziario come fonte di profitto per il colonialismo.

In questo saggio Lenin spiega come si sia passati da una visione industriale a una visione finanziaria del capitalismo. Se fino alla metà dell’800 la via maestra «per il vecchio capitalismo, sotto il pieno dominio della libera concorrenza, era caratteristica l’esportazione di merci, per il nuovo capitalismo, sotto il dominio dei monopoli, è caratteristica l’esportazione del capitale […] la necessità dell’esportazione di capitale è determinata dal fatto che in alcuni paesi il capitalismo è diventato più che maturo e al capitale […] non rimane più un campo di investimento redditizio».
Per aumentare ancor più i profitti in modo da creare veri e propri monopoli privati, si passa alla fusione delle banche più importanti, delle assicurazioni in modo da controllare le economie nazionali delle grandi potenze e attraverso l’investimento di capitali nei paesi in via di sviluppo anche le economie dei paesi poveri.

A distanza di poco più di cento anni il meccanismo è rimasto pressoché identico, anzi, in certi aspetti si è consolidato ulteriormente negli ultimi quarant’anni. L’economia di mercato, dopo la «restaurazione» dei principi del liberalismo economico si basa sempre sulla libera circolazione delle merci, delle persone, ma soprattutto sulla libera circolazione dei capitali. Questa sorta di «triade» liberista consente al capitalista di risparmiare sul costo della manodopera soprattutto nei paesi più arretrati a livello di legislazione sociale.
Oltre all’aspetto dello scambio diseguale di prodotti e servizi, abbiamo lo sfruttamento coloniale dei paesi poveri attraverso fenomeni come il «land grabbing» o «l’ocean grabbing», ossia l’accapparramento delle terre agricoli e delle risorse naturali ittiche e marittime. Tutto ciò comporta anche rivalità intestine fra i capitalisti che cercano di prendere ognuno la fetta di mercato più grandi.
Si arriva infine alla commistione della finanza con l’industria creando multinazionali fuori controllo che diventano veri e propri imperi finanziari, che quindi hanno la forza di imporre le regole che vogliono si segua. Un esempio celebre è rappresentato dalla «Standard and Oil» fondata da John D. Rockefeller che in poco meno di 40 anni diventò talmente potente da portare la Corte Suprema degli Stati a scioglierla nel 1911. Ciò porto il nipote David Rockefeller a fondare la Commissione Trilaterale, un’associazione di categoria dell’alta finanza nata per tutelare gli interessi economici dei propri membri. Le conseguenze furono quelle di avere un potere economico talmente potente da ricattare i governi, rendendoli completamente alla propria mercé.

A livello sociale le ripercussioni più gravi vengono subite dalle fasce più deboli della popolazione, soprattutto dei Paesi più poveri, che vengono costretti a vivere sotto la soglia di povertà e ad accettare condizioni di lavoro disumane. Talvolta la disperazione porta queste persone ad emigrare nei paesi più ricchi alla ricerca di condizioni di vita migliore separandosi anche dalla propria famiglia. Questo tipo di immigrazione di massa comporta un livellamento verso il basso delle condizioni salariali dei lavoratori, incrementando i profitti dei detentori dei mezzi di produzione.

Questo saggio si rivela, purtroppo, molto attuale e ci indica come tuttora è organizzata la nostra struttura economica. Un’ulteriore conferma ci arriva dai dati dei rapporti annuali sulla disuguaglianza sociale che evidenziano come la forbice tra ricchi e poveri si ampli sempre più.