Governo Draghi: scenari e implicazioni

Tanto fu sventolata la potenza di fuoco, che apparve il Re dei Draghi. Questo potrebbe essere, in estrema sintesi, il racconto della politica italiana dalla comparsa del Covid-19 a oggi. Nulla si può imputare a Renzi a livello di operazione politica: nonostante l’esiguo numero di seggi, da ideatore del Conte bis ha deciso di staccare la spina quando l’ha ritenuto più opportuno, schivando l’operazione dei responsabili e ritornando al centro delle dinamiche politiche, al di là dell’interpretazione soggettiva che ciascuno può farsi. Chissà, probabilmente senza l’arrivo della pandemia il tutto sarebbe avvenuto con ampio anticipo, ma l’instabilità era palese da tempo e la sensazione che si stesse aspettando solo il casus belli per innescare la macchina della crisi politica, pure.

Dunque? Dunque arriva Mario Draghi. Chi scrive prese in considerazione questo scenario politico a partire dal 25 marzo 2020, giorno in cui comparve il suo famoso articolo sulle colonne del «Financial Times»: il messaggio era sì il contenuto – improvvisamente keynesiano, con tanti saluti allo spauracchio dei conti pubblici – ma l’attenzione era focalizzata sul soggetto che parlava, sul tempismo dell’uscita e sul microfono giornalistico di assoluto rispetto. Le reazioni parlamentari furono da tappeto rosso: un’inversione a 180° sulle idee di politica economica, riscontrabili di facciata nella totalità dell’emiciclo. Scenario impossibile da non annotarsi. Il passaggio successivo, e qui sta il vero punto centrale che dovrebbe portare ogni italiano a interrogarsi, è il «Che cosa verrà a fare Draghi?». Sì, perché se un personaggio di quella levatura internazionale si alza dal divano per metterci la faccia, come minimo avrà avuto ampie garanzie sull’esistenza di una maggioranza parlamentare che sostenga il suo esecutivo, al di là dei vari giochi delle parti: dunque i conti parlamentari dovranno tornare. E torneranno.

Sul «Che cosa venga a fare», purtroppo ci vorrebbe un veggente. Possiamo però impostare un parallelo con lo scorso governo tecnocratico, quello di Mario Monti. Ebbene, Monti si insediò a Palazzo Chigi con l’esplicito mandato di mettere i conti in ordine: non si trattava certo del rapporto debito/pil che, anzi, nell’arco del suo esecutivo si impennò fino al 130%; ma si trattava del deficit commerciale. L’austerità montiana fece passare il sistema Italia, tramite distruzione della domanda interna, da una situazione di deficit commerciale a un ampio surplus, poi mantenuto anche dai successivi governi. Vista questa situazione acquisita, Draghi non avrebbe necessità di prodursi in un Monti atto secondo. Siamo sul piano logico, che in politica può utilizzarsi in maniera utile e divertente per smascherare le fallacie comunicative dei rappresentanti e, visto il passato, per poco altro.

Draghi, non più tardi del 2013, fu colui che tranquillizzò tutti sul percorso di riforme avviato in Italia, che sarebbe proseguito: «Indipendentemente dall’esito elettorale […], come se fosse inserito il pilota automatico». Il famoso pilota automatico (se è automatico, che necessità c’era di Draghi?) figlio dell’architettura europea dei Trattati, tale da rendere il processo elettorale un mero esercizio formale ma non sostanziale. C’è da chiedersi se Draghi, da Palazzo Chigi, una volta terminato il blocco del patto di stabilità europeo, si muoverà nel solco del sacro pilota automatico, oppure sceglierà la strada sorprendente con cui irrise tutti dalle colonne del «Financial Times».

Ora occhi sulle consultazioni: psudo-sovranisti (dicasi sovranari) in astensione al canto del sacrificio per l’unità del centrodestra (la Meloni storicamente è una maestra dell’astensione); leghisti, da tempo in fase di riposizionamento a 180°, in una iperbolica quanto contorta strategggia (sì, con 3 g) che tenta di rendere coerente un quadro variegato, dal «Basta Euro» al «Draghi è un fuoriclasse come Ronaldo, non può stare in panchina»; al Movimento 5 Stelle, con decisamente confuso, che parte con un «Non voteremo Mario Draghi» trasformatosi in ventiquattro ore in «Porteremo al tavolo le nostre battaglie. Reddito di cittadinanza punto fermo».

E l’opposizione? Fuori dal Parlamento. E non da oggi.