Jacques Delors e il tradimento liberale della sinistra europea

Il tradimento liberale della sinistra europea è assodato da decenni. I suoi elettori l’hanno assimilato a tal punto da aver mutato modello di riferimento – da statalista a liberale – con un’inversione a U solo apparentemente graduale. La trasfigurazione ebbe un tempo e un luogo ben preciso, descritto con arguzia di particolari nell’opera, «La scomparsa della sinistra in Europa», curata dagli economisti Aldo Barba e Massimo Pivetti.

Francia, 1981-1983: dopo la vittoria alle elezioni presidenziali del socialista François Mitterand, la coalizione di sinistra si impone alle elezioni legislative del 14-21 giugno 1981. Un successo sostanziale, figlio del programma comune redatto nei suoi pilastri già nel 1972. Un progetto riformista incentrato sulla nazionalizzazione dei settori strategici – industriali e finanziari che instaurasse un circolo virtuoso, basato sulla crescita della domanda interna e dei salari, accompagnato dagli accorgimenti sull’estero. Schematizzando il circolo virtuoso:

lavoratori più forti, salari più elevati, aumento della domanda interna, crescita della produzione, crescita dell’occupazione, lavoratori più forti.

Nel biennio 1981-1982 l’attuazione del programma partì spedita: furono nazionalizzate 12 grandi imprese industriali, 36 banche e 2 grandi società finanziarie. Ovviamente, il percorso di adattamento del sistema industriale al modello predisposto dal governo avrebbe richiesto un adattamento medio-lungo e, su questo punto del percorso, le idee di Jacques Delors, fin lì minoritarie, riuscirono a spezzare il lavoro unitario in atto.

Fu nel 1983 che la linea Delors ebbe la meglio: per sanare gli squilibri di bilancia dei pagamenti, causati prevalentemente dalla fuga di capitali successiva alla vittoria della coalizione, il governo di sinistra puntò su una politica deflazionista, con l’obiettivo di aumentare le esportazioni e crescere meno dei propri concorrenti. Con Delors il nuovo corso tecnocratico dei competenti soppiantò l’intelligenza politica. Fu così che la sinistra si fece personalmente carico di smontare lo stato sociale. In questo contesto, il Presidente della Repubblica Mitterand, descritto come un conformista di gaberiana memoria, fu scaltro nell’adattarsi prontamente al nuovo corso liberoscambista.

Come collegare il trasformismo liberale della sinistra francese con la costruzione europea?

In questo collegamento ci supporta proprio Jacques Delors! Dopo aver ribaltato il paradigma della sinistra francese, a partire dal 1985 divenne Presidente della Commissione Europea: fu lui l’artefice del processo di costruzione delle nuove architetture sovranazionali europee. Dalla presidenza pose le basi della «modernizzazione», termine allora imprescindibile nel contesto francese, guidando il processo di integrazione europea su capisaldi liberali, primo tra tutti la liberalizzazione totale dei movimenti di capitali (Atto Unico Europeo del 1987). In particolare, all’interno del «Rapporto Delors» pubblicato nel 1988 e preludio del Trattato di Maastricht del 1992, si ritrova un’integrazione europea gestita dalla Francia nel ruolo di egemone, eretto su tre capisaldi fondamentali: la realizzazione della Banca Centrale Europea, la fissazione di limiti al deficit e al debito pubblico e l’istituzione della moneta unica. Il requisito imprescindibile non fu la graduale centralizzazione delle politiche degli Stati al culmine della quale si sarebbe arrivati all’unione politica e monetaria, ma la liberalizzazione del movimento dei capitali e l’unione monetaria come presupposto catalizzatore all’unione politica.

Oggi, quarant’anni dopo il tradimento della sinistra francese e dopo ventinove anni dalla stipula del Trattato di Maastricht, il puzzle è ben composto sotto gli occhi di chi abbia provato a completarlo un pezzetto alla volta. La sinistra definita nell’opera come «antagonista» ha trionfato sulla «tradizionale». La lotta di classe è stata destrutturata (o talvolta deviata) promuovendo delle rivendicazioni individuali. Rivendicazioni strategiche per due ordini di motivi:

perché ottenibili finanziariamente a costo zero;

perché tali da scomporre il presupposto (l’unitarietà del campo politico degli oppressi) della lotta di classe.

Oggi, con l’estremizzazione pandemica della crisi sociale, ci sono tutti i presupposti necessari per la rivincita statalista. Il campo è aperto: l’obiettivo è prepararsi per ricostruire ciò che la sinistra «antagonista» smantellò.