Olesya Rostova non è Denise Pipitone: spegniamo la tv del dolore

A 17 anni dalla scomparsa, dopo un unico avvistamento significativo, dopo un processo concluso con l’assoluzione della principale indiziata, Denise Pipitone è un nome che torna ad occupare con insistenza i salotti televisivi italiani e non solo.
Della bambina che lasciò Mazara del Vallo il primo settembre del 2004 restano pochi ricordi, mentre degli articoli di cronaca nera, delle interviste ai familiari e delle interminabili e procellose dispute televisive rimangono fin troppe testimonianze.

Il guazzabuglio mediatico è stato riaperto da Olesya Rostova, la ragazza russa di 21 anni che, dal talk show russo Let Them Talk (Pust’ govoryat/Lasciali parlare), ha lanciato un appello per il ritrovamento della sua famiglia d’origine.
Attraverso la segnalazione di una telespettatrice russa, che vive e lavora in Italia, le sue parole e il suo volto sono stati raccolti da Chi l’ha visto, il trentennale programma televisivo condotto da Federica Sciarelli e specializzato nel racconto di misteri insoluti, che, a sua volta, fondandosi sulle suggestioni provocate dalla somiglianza dei lineamenti somatici, ha avanzato la possibilità che Olesya Rostova e Desise Pipitone fossero la medesima persona.

Così, il programma russo ha tenuto in ostaggio per una settimana la televisione italiana, ha galoppato nel tentativo di inseguire l’assalto allo share e non ha indugiato affatto nel centellinare le poche informazioni fruibili, che consistevano da un lato nel DNA di Olesya Rostova, mai sottoposto alla comparazione con quello di Denise, dall’altro lato nel test di compatibilità tra i gruppi sanguigni, il cui risultato è stato intenzionalmente tenuto top secret, fino all’atteso confronto tra la giovane russa e il legale di Piera Maggio, madre della vittima.
Quando l’esito dell’esame è stato disvelato, quando tutti, giornalisti e spettatori, hanno avuto la conferma che Olesya Rostova non è Denise Pipitone, l’attesa di cui per piacere si nutrono gli osservatori si è sciolta, i giocatori hanno abbandonato il giocattolo e si sono sintonizzati su un’ altra storia.
Il dolore e la delusione di chi è alla ricerca di Denise, invece, rimangono tali e quali.

Questo metodo non è stato gradito dagli italiani.
C’è chi accusa il primo canale russo di non mostrare rispetto nei confronti dei soggetti intimamente ed emotivamente coinvolti nella vicenda.
Dagli studi di La Vita in Diretta, Giovanna Botteri, storica inviata di guerra, ha, ad esempio, duramente criticato i metodi russi, mentre sui social network piovono commenti di rabbia e sdegno.
Addirittura c’è chi, come lo youtuber Roma_bler, ha scavato nel passato virtuale di Olesya Rostova e ha denunciato che dietro questo nome si cela un’attrice spregiudicata, pronta a tutto pur di raggiungere vette di popolarità.

Le reazioni di disgusto raccolte dai mass media potrebbero, allora, apparire come la conclusione edificante di un teatro sfregiatore della dignità umana, un passaggio fondamentale di rigenerazione, l’avvio di una nuova cultura mediatica, che abbandona la stampa scandalistica e si avvicina ad un giornalismo etico.
E invece no.
Continuiamo a nutrirci della stessa sostanza: lo Schadenfreude, il sentimento di piacere che sorge dalla contemplazione delle disgrazie altrui.
Dopo lo spettacolo dell’attesa assistiamo allo spettacolo dell’indignazione.
È lo spettacolo che parla dello spettacolo, purché si faccia spettacolo.

Per terminare lo show non è sufficiente scrivere un twit contro la televisione del dolore.
Per terminare lo show occorre spegnere la televisione del dolore.
Ne siamo in grado?