Oltre la deriva tecnocratica: la minaccia epistocratica al suffragio universale

Negli ultimi anni, l’elettorato si è gradualmente comportato in maniera disobbediente. Da questa presa d’atto, il potere ha immaginato dei sistemi alternativi: tra questi vi è l’epistocrazia. In particolare, quattro appuntamenti hanno fatto suonare il campanello d’allarme:

23 giugno 2016: in occasione del referendum sulla permanenza della Gran Bretagna all’interno dell’UE, a sorpresa, gli elettori britannici premiano il «Leave» con il 51,89%;

8 novembre 2016: Donald Trump vince le elezioni presidenziali statunitensi ribaltando i sondaggi favorevoli alla democratica Hillary Clinton;

4 dicembre 2016: gli elettori italiani bocciano al referendum costituzionale la riforma Renzi-Boschi con il 59,12%;

4 marzo 2018: in occasione delle elezioni politiche, gli elettori italiani puntano per un voto percepito come anti-sistema, attribuendo il 32% al Movimento 5 Stelle.

Questi appuntamenti hanno provato il distacco esistente tra il potere e l’elettorato. Sia il sistema politico che quello dei media hanno dovuto impostare una narrazione giustificatrice dell’ormai sistematico ribaltamento tra tesi mainstream e risultanze elettorali. Tale narrazione ha trovato una progressiva sistematizzazione nell’attribuire lo scollamento al livello d’istruzione di gran parte dell’elettorato, colpevole di non rendere possibile l’analisi e la comprensione del messaggio del mittente (sia esso politico o editoriale). Quasi che il sistema dei media non si fosse accorto dell’ormai datato superamento della teoria ipodermica, che rappresentava i destinatari come totalmente passivi, impotenti nel farsi somministrare una visione del mondo.

I più attenti ricorderanno lo stupore di Giovanna Botteri all’atto dello spoglio elettorale statunitense del 2016: «Non si è mai visto come in queste elezioni una stampa così compatta e unita contro un candidato […] evidentemente la stampa non ha più forza, non ha più peso».

Preso atto dello scollamento, l’analisi dei competenti ha portato a immaginare possibili correttivi alla disobbedienza. Se è palese che la disobbedienza elettorale, in ambito europeo, sia nettamente disinnescata dal funzionamento automatico del sistema dei Trattati e, specialmente in Italia, dalla mancanza di una proposta politica che decomponga la sovrastruttura vincolante, è altrettanto vero che le proposte, buttate con metodo junckeriano sul tavolo, hanno fatto emergere l’ipotesi epistocratica come degenerazione della già presente tecnocrazia.

Prendendo un richiamo di Sabino Cassese, che ha prodotto una prefazione per il libro di Brennan, col termine epistocrazia s’intende «il governo di coloro che sanno, per distribuire il potere politico in proporzione alla conoscenza e alla competenza».

Chi scrive crede che le provocazioni, specie se rilanciate da soggetti chiave, non siano esercizi mentali, ma una modalità per sondare il terreno. Le proposte vanno dal sottoporre la cittadinanza a un esame finalizzato all’ottenimento (in quel caso diremmo riacquisizione) del diritto di voto, al fornire a un’assemblea ristretta la facoltà di ribaltare il processo legislativo parlamentare. In soldoni, si tratterebbe della perdita del suffragio universale da noi ottenuto, in maniera completa, solamente nel 1946. È francamente impossibile non trovare una continuità tra il processo di destrutturazione scolastica al servizio del mercato e l’utilizzo delle conseguenze generate per disinnescare gli ultimi gemiti democratici.

Tutto è funzionale alla distribuzione del potere. In Italia, l’operazione di destrutturazione dei partiti popolari, ovvero le associazioni di formazione dove far emergere l’intellighenzia, è stata funzionale al decadimento. Così come l’impostazione della politica economica, le riforme mercatistiche della scuola (qui Barbero ha colto nel segno) e quindi l’opportunità di giovare di un’ampia mobilità sociale.

Si potrebbero ribaltare le spaventose provocazioni epistocratiche con l’interpretazione autentica dell’articolo 3 comma 2 della Costituzione fatta dal proponente Lelio Basso, che esamina sì la constatazione dell’analfabetismo esistente, ma si pone l’obiettivo statale di sradicarlo:

«Io ho fatto aggiungere un secondo comma, in cui dico però che le differenze economiche e sociali che esistono tra i cittadini non rendono possibile la realizzazione dell’uguaglianza affermata in diritto: uno è povero, uno è ricco; uno è colto, uno è ignorante, analfabeta, eccetera. Sono disuguali. Questo secondo comma dice che la Repubblica Italiana ha il dovere di eliminare le disuguaglianze sociali e, se questo non sarà fatto, non ci sarà vera eguaglianza e quindi non ci sarà vera democrazia».

Aspetto rilanciato, dallo stesso Basso, in sede di discussione dell’articolo 4 della Costituzione«Noi pensiamo che la democrazia si difende, che la libertà si difende […] facendo partecipare tutti i cittadini alla vita dello Stato, inserendo tutti i cittadini nella vita dello Stato; tutti, fino all’ultimo pastore dell’Abruzzo, fino all’ultimo minatore della Sardegna […]. Solo se noi otterremo che tutti effettivamente siano messi in grado di partecipare alla gestione economica e politica della vita collettiva, noi realizzeremo veramente una democrazia».

L’epistocrazia assume un suo sistema di valori scientifici e tecnici elevandoli a dogmi intoccabili, trasformando il metodo democratico in un insieme di deliberazioni proprie di una società per azioni. Essa è una reazione dall’alto a periodiche scosse d’assestamento, spesso dovute all’avidità di un potere che non concepisce limiti allo schiacciamento della società verso il basso. Un consolidamento giuridico di prassi governative già insite nella tecnocrazia.