Clima: necessario arrivare a un programma di emissioni zero

Nel 2018 il rapporto dell’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC), organizzazione di cui si sente molto parlare in questi giorni, riferiva quanto segue: «Si stima che le attività umane abbiano causato un riscaldamento globale di circa 1,0°C rispetto ai livelli preindustriali, con un intervallo probabile tra 0,8 e 1,2°C. E’ probabile che il riscaldamento globale raggiungerà 1,5°C tra il 2030 e il 2052 se continuerà ad aumentare al tasso attuale». (qui il sommario in italiano).

È interessante guardare come, chi oggi parli di «decennio decisivo», fino ad ora abbia sottovalutato gli allarmi passati; probabilmente è proprio per questo che la stessa organizzazione, nell’ultimo rapporto pubblicato pochi giorni fa, ha alzato notevolmente i toni, parlando di «allarme rosso per l’umanità».

A parte il periodo del lockdown dovuto alla pandemia, per cui c’è stata una leggera riduzione di CO2 prodotta, l’inquinamento in questi ultimi anni non ha visto tregua: l’uscita di Trump dall’Accordo di Parigi, la resistenza dei Paesi asiatici, che sono in pieno sviluppo industriale, alle norme di tutela ambientale e i numerosi incendi che minacciano sempre più frequentemente territori a livello globale (dall’Amazzonia all’Australia, dal Canada al Mediterraneo) non fanno altro che rendere sempre più complicato il percorso di riduzione delle emissioni stesse.

Il Ministro Cingolani, nell’intervista di qualche giorno fa a Repubblica, cita un tema che pone in disaccordo i componenti del G20 sulle misure da intraprendere, ossia il calcolo delle emissioni, da cui deriveranno le azioni da attuare per il contenimento delle stesse. Se guardassimo infatti le emissioni totali, è naturale notare che gli stati sviluppati, o in via di sviluppo, più numerosi (come la Cina), contribuiscano in percentuale maggiore rispetto a quelle globali. Tuttavia, avere Paesi con popolazione minore e consumi pro capite molto alti (come gli USA), diventa ugualmente un problema.

La soluzione più equilibrata, come nella maggior parte delle volte, sta nel mezzo: se tutti gli abitanti del mondo avessero lo stesso livello di consumi degli Stati Uniti, servirebbero cinque pianeti Terra per soddisfare la domanda, mentre ne servirebbero 2,3 se il consumo pro capite fosse come quello cinese (2,8 per quello italiano, dati di https://www.footprintnetwork.org/). Per questo è necessario tenere conto di entrambi i parametri, quindi sia la quantità totale sia quella pro capite, trovando una formula che soddisfi tutti i Paesi.

L’obiettivo di dimezzamento delle emissioni al 2030, individuato dall’IPCC, è molto stimolante e cade a contemporanea alle trattative in preparazione alla COP26, di cui abbiamo parlato qualche settimana fa. C’è da ricordare però che l’anidride carbonica, gas serra per definizione, si accumula in atmosfera e, anche se dovessero venire ridotte le emissioni nel prossimo futuro, può restare lì anche per decenni. È quindi necessario arrivare quanto prima a un programma di emissioni zero: il rapporto 2021 evidenzia che la temperatura globale è aumentata di 1,09°C tra il 2011-2020 rispetto al periodo 1850-1900 e, pur avendo ancora 0,4°C di margine sul limite previsto dagli accordi di Parigi, le conseguenze sono già sotto gli occhi di tutti.