Come sassi – La tela e la porta

June non seppe dire quanto tempo fosse passato, ma poco a poco il cielo divenne più scuro e una serie di stelle si fece spazio tra le nuvole finché queste non scomparirono definitivamente. La luce delle lampade era ancora accesa, ma era decisamente più tenue. Dopo aver contemplato quei puntini così brillanti come non ricordava di vederne da anni, June si alzò a percepì nell’aria una brezza notturna, fresca e pulita. Iniziò a seguire un altro rivoletto e si trovò in una stanza dove migliaia di bollicine della stessa sostanza se ne stavano sospese per aria, apparentemente senza un particolare ordine. Vide un cerchio per terra, che delimitava anche l’area in cui stavano le bolle.

Ad un certo punto del contorno era stato segnato un piccolo tondo blu. June si portò intuitivamente lì e, osservando da quella posizione, vide le bolle prendere la forma di un leone. Rimase per un attimo impietrita a guardarlo. Poi sorrise e lo immaginò ruggire. Non era sicura di averne mai sentito uno, non di persona certamente. Continuò a seguire il piccolo corso d’acqua. Finiva in una parete con diverse spirali che componevano la figura di un albero stilizzato. Appena si avvicinò per contemplare la bellezza nella linearità e semplicità dell’albero, questo prese come vita. Per meglio dire, si illuminò e una delle spirali si allungò nel ramo che formava, facendo apparire una tela che sembrava una fotografia. Dava l’impressione di volerla consegnare proprio a June, o perlomeno al suo sguardo.

La tela ritraeva un vicolo cittadino alle prime luci dell’alba. Una ragazza stava seduta sui gradini di uno dei palazzi. La si vedeva di profilo con le cuffie addosso, nel momento in cui si portava una mano alla bocca e osservava un vecchietto porgerle un enorme mazzo di fiori. L’anziano indossava un cappello da marinaio e aveva la barba lunga e, in effetti, nera. Forse non aveva tanti anni quanti June aveva immaginato alla prima impressione. L’immagine era ferma eppure si percepivano tutti i movimenti di pensieri e sentimenti che si potessero immaginare.

Mentre era ferma a riflettere talmente profondamente da non rendersene più conto, udì lo scricchiolio di una porta. Girandosi ne vide effettivamente una in una stanza vicina. Era una vecchia porta di legno e un fiotto di luce proveniva dall’altra parte. Intuì che fosse arrivato il momento di spostarsi in un’altra ambientazione, come aveva già sperimentato un paio di volte finora.

Una volta arrivata sulla soglia ciò che si lasciava alle spalle sparì come non fosse mai esistito, lasciando il posto ad un buio totale. Quando si fu abituata alla luce scoprì uno scivolo che iniziava a scendere proprio dalla porta. Con un filo di delusione per la sua curiosità, riscontrò come attorno a sé non fosse presente altro che quello scivolo e il buio. Doveva decisamente scendere per di là. Mentre ancora si domandava come potesse stare in piedi nel vuoto, iniziò a posizionarsi all’inizio dello scivolo e a prendere la carica come faceva da piccola. Si teneva con le mani al palo che formava un arco sopra di lei e dopo essersi sistemata bene indietreggiò di poco un paio di volte prima di lanciarsi.

Poi, si lasciò andare. Le uniche due cose a cui fece grande attenzione furono mantenere salda la sua preziosa sacca e verificare costantemente che il materiale su cui stava scivolando non le creasse ustioni sulla pelle come le era capitato da piccola. In realtà, non poté evitare di prendere velocità, ma non sentì quel senso di scottatura che aveva immaginato si potesse creare. Ad un certo punto passò un semplicissimo portale in legno massiccio. Temeva di cadere nuovamente nel buio da cui era partita e d’impulso chiuse gli occhi.