Nel DEF il guanto di sfida del governo all’UE

«Senza una forte volontà politica non si sarebbe potuto fare nulla. Abbiamo lanciato il guanto di sfida alla vecchia Europa, ora dobbiamo vincere la guerra, perché guerra sarà. Grazie e buon lavoro, Paolo».

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Il travaglio sul numerino magico del rapporto deficit/PIL, da inserire nel documento di economia e finanza, è stato il punto centrale della scorsa settimana. I leader dei due partiti di maggioranza, Di Maio e Salvini, hanno spinto sull’acceleratore rispetto alle stime che si davano concordate con la Commissione Europea dal Ministro Tria, che si fermavano dall’1,6%, ottenendo un rapporto al 2,4%.

Non vi è una rivoluzione a livello numerico, perché anche gli altri governi avevano toccato deficit pari o superiori a questo, anche se calcolati a fine anno e quindi non raffrontabili con un documento di previsione. Il vero punto centrale, che pone le basi di programmazione triennale dell’economia italiana, è il prolungamento di questa scelta per gli anni 2019, 2020, 2021. Si supera la logica del Fiscal Compact, ovvero la riduzione del deficit per il raggiungimento del pareggio di bilancio. Facciamo il raffronto con la tabella II 2-1, pagina 30 del DEF 2018.

Studiando quel documento, scopriamo che in proiezione al 2021, le imposte indirette sarebbero salite da 510 a 562 miliardi e il disavanzo del rapporto deficit/PIL sarebbe sceso allo 0,8% nel 2019, fino a ottenere il pareggio nel 2020 e un avanzo dello 0,2% nel 2021. La pressione fiscale sarebbe cresciuta nel 2019 dello di 0,3%, e il calo nel 2021 sarebbe stato subordinato all’effetto sulla crescita.

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Bloccando il rapporto deficit/PIL al 2,4% per 3 anni, il governo M5S-Lega ha evitato un ulteriore avvitamento della componente relativa alla domanda interna, che è la problematica maggiore della nostra economia, predisposta alle esportazioni, ma con tutte le controindicazioni derivanti. Infatti, pensando all’economia USA in crescita ininterrotta da oltre 100 mensilità, con un rapporto tra ricchezza finanziaria delle famiglie e reddito disponibile pari a 550, ci rendiamo conto che il loro traino non possa durare ancora per molto. Per capirci, prima della crisi dei subprime 2008 arrivò a 500, così come per la bolla della new economy di fine anni ’90. Sarà fondamentale rianimare i consumi interni, sia per quei settori che non hanno una propensione alle esportazioni, sia per non rimanere senza appoggi nel momento in cui le esportazioni caleranno. Gli strumenti del reddito di cittadinanza e della pensione di cittadinanza sono utili a questo fine, accompagnati da una nuova formazione professionale, ma andranno implementati da una prospettiva di crescita e sviluppo data dal piano d’investimenti pubblici e privati, come più volte detto dal ministro Savona. Per agevolare gli investimenti, si dovrà mettere mano al codice degli appalti e al meccanismo dell’armonizzazione, che oggi vincola gli enti locali a programmarli non solo in base al patto di stabilità, addirittura, in base alla cassa dell’esercizio in corso.

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Per quanto riguarda il giudizio della Commissione, dobbiamo dire che Conte sarà a Bruxelles il 18 ottobre per il Consiglio Europeo e il testo della manovra dovrà essere presentato entro 15 ottobre. Lì sarà tutto chiaro. La Commissione dovrà scegliere se bocciare il testo, oppure avviare una procedura d’infrazione per deficit eccessivo. Non sappiamo cosa ci sia dietro questa scelta politica del governo (il cigno nero?), ma sappiamo che, comunque vada a finire, esso avrà una carta da giocarsi. In caso di bocciatura o procedura d’infrazione, potrà rivendicare il diverso trattamento della Commissione tra Italia e Francia, in caso di linea morbida potrà rivendicare una vittoria sul superamento del Fiscal Compact, aspetto assolutamente non marginale. Insomma, la campagna per le Europee è già lanciata.

La battaglia è in atto.

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Oltre alle parole di Dombrovskis, ieri abbiamo notato un’oscillazione dello spread dopo le parole del Commissario UE Moscovici, che ha definito «Molto ampio» lo scostamento del deficit programmato dal governo. E su questo piano, il Vice Premier, Ministro del Lavoro e dello Sviluppo Economico, Luigi Di Maio, ha reagito, additando Moscovici di «Creare tensioni sui mercati». Eccovi invece il grafico relativo allo spread BTP/BUND di venerdì.

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Lo spread sale, tocca un massimo di 281, e poi comincia a calare drasticamente dalle ore 15:30. E’ una dinamica tutta da verificare nelle prossime settimane per provare una corrispondenza, ma alle ore 15:30 italiane, apre la Borsa di New York. C’è dietro Trump? Abbiamo più volte richiamato il possibile supporto USA. Osserveremo.