Draghi, l’irreversibilità e le prospettive del campo politico italiano

«Sostenere questo governo significa condividere l’irreversibilità della scelta dell’Euro; […] significa condividere la prospettiva di un’Unione Europea sempre più integrata che approderà a un bilancio pubblico comune. […] Gli Stati nazionali cedono sovranità nazionale per acquistare sovranità condivisa. […] Senza l’Italia non c’è l’Europa, ma fuori dall’Europa c’è meno Italia. Non c’è sovranità nella solitudine». Mario Draghi, 17/02/2021.

Si è presentato così Mario Draghi, nuovo Presidente del Consiglio, al Senato della Repubblica. Un messaggio netto, che non lascia spazio a fraintendimenti, che non negozia spiragli dove poter inscenare balletti d’interpretazione strategica ai limiti del ridicolo. Ha messo sul tavolo della votazione parlamentare una scelta irreversibile di campo: coloro che intendano proseguire il percorso tracciato con Maastricht votino la fiducia; gli altri vadano all’opposizione o all’oppofinzione.

I risultati, in entrambe le Camere, sono stati senza appello. Come da anticipazioni, le schermaglie comunicative si sono placate in un amen, e i conti parlamentari sono tornati. È emersa una formazione liberale che parte da sinistra e si chiude a destra, con la simpatica quanto necessaria – almeno per salvare il formalismo parlamentare – oppofinzione dei liberali (ops) di Fratelli d’Italia (un dejà vu in stile leghista durante il governo Monti). I più svegli – il riferimento è al Fronte Sovranista Italiano – avevano ben colto questo afflato ideologico unificatore di tutto l’emiciclo (singole personalità escludendo), istituendo l’ormai noto acronimo P.U.L. (Partito Unico Liberale).

La cruda schiettezza di Draghi è funzionale alla comprensione del campo politico italiano in vista delle elezioni del 2023. Chi avesse voglia di ricercare qualcosa di differente rispetto al liberalismo, dovrà necessariamente appellarsi a una proposta extraparlamentare, oggi embrionale, dai contorni difficilmente interpretabili, sviluppata in funzione di una restaurazione del modello socio-economico statalista precedente all’approvazione del Trattato di Maastricht.

La lezione di questa legislatura è che la politica si modifica nel giro di breve – anzi, brevissimo – tempo. Coloro che furono votati il 4 marzo 2018 al grido di «No all’austerity!»– il riferimento parte dal Movimento 5 Stelle e arriva alla Lega – avevano nell’implicito una netta insostenibilità del messaggio propagandistico all’interno della cornice giuridica dei Trattati Europei. Una fetta di elettorato aveva – e ha ancora – compreso la portata fasulla del messaggio se non accompagnato dalla ferma volontà di perseguirlo, finanche giungendo alla rottura dell’ordine dei Trattati.

Considerata la velocità con cui si modifica lo scenario politico, mettendo sul piatto lo sfaldamento in atto all’interno del Movimento 5 stelle – da notare i voti contrari e le astensioni al governo Draghi in entrambe le Camere – e aggiungendo la cornice ideologica che unifica integralmente la maggioranza di governo e il principale partito d’opposizione, abbandoniamo l’inesistente piano contenutistico ed entriamo nel campo della comunicazione politica.

Abbiamo la costituzione di un campo nuovamente bipolare, prima scardinato e poi ricomposto dal Movimento 5 Stelle. Il governo Draghi guiderà il paese a nuove elezioni dove, presumibilmente, vedremo in gioco uno scenario da seconda Repubblica pura: suddivisione csx (Leu-Pd-M5S e vari) magari unificato nella persona di Giuseppe Conte, opposto al cdx (Fi-Lega-Fdi e vari). Lungo questo arco temporale i due campi sosterranno i medesimi provvedimenti; metteranno in gioco distinzioni a livello di schermaglie linguistiche; edificheranno due costruzioni oniriche rette da una comunicazione instant marketing, atte a guidare l’elettorato nei medesimi solchi comuni: il liberalismo e l’europeismo.

Auspicabile, anzi, vitale, un terzo campo per coltivare ciò che si è visto poter sbocciare. Un aspetto positivo che ha lasciato il Movimento 5 Stelle nella sua scalata è la prova tangibile che il bipolarismo si possa rompere, per il semplice fatto che, nei temi chiave, la politica italiana sviluppi un vero e proprio unilateralismo, che ormai è stato svelato (e di cui M5S è entrato a far parte).

Singoli parlamentari, rintracciabili all’interno del più ampio elenco di espulsi post votazione sulla fiducia, hanno le conoscenze per rappresentare una piccola parte di un progetto che coalizzi, con ruolo chiave, anche partiti extraparlamentari, stimabili e quanto mai necessari nel nuovo Parlamento.

Il 2023 non è lontano e i contenuti d’opposizione al liberalismo europeista si trovano prevalentemente all’esterno del Parlamento. Un limite, ma anche un’occasione da cogliere per rinnovare l’offerta politica.