I progressi della lotta al cancro al seno

Il tumore alla mammella è il primo tumore per incidenza nella popolazione femminile. Nel 2010, in Italia, quasi 600 mila donne convivevano con tale patologia e la prevalenza è tuttora in aumento. Il cancro alla mammella è anche quello che causa il più elevato numero di morti nelle donne tra i 20 e i 59 anni, a causa della sua malignità. Esso ha inoltre una grande capacità di formare mestastasi e soprattutto micrometastasi, cioè piccoli aggregati di cellule non rilevabili che possono restare quiescenti per lunghi periodi e risvegliarsi anche dopo decenni, causando una recidiva della malattia.

Sono dunque fondamentali i risultati del recente trial clinico di fase III chiamato MONALEESA-7, condotto dalla dottoressa Sara Hurvitz presso l’Università della California a Los Angeles. Lo studio, che è stato presentato pochi giorni fa all’incontro annuale della American Society of Clinical Oncology (ASCO), ha proposto una nuova terapia combinata che sembrerebbe dare alle giovani donne colpite da questo cancro una speranza di sopravvivenza molto più prolungata. Il trattamento è mirato a un tipo di tumore metastatico con caratteristiche ben precise: le cellule alterate devono infatti possedere i recettori per gli ormoni femminili ed essere negative al marcatore HER2. Inoltre, lo studio si è concentrato su donne giovani che non hanno ancora avuto la menopausa.

La nuova terapia combinata è costituita da una terapia anti-ormonale classica (per esempio il tamoxifene) che viene già somministrata regolarmente in situazioni di questo tipo; l’innovazione consiste nell’aggiunta di un inibitore specifico per le cellule tumorali, chiamato Ribociclib. Questa molecola agisce bloccando i fattori CDK4/6 che promuovono la proliferazione cellulare, quindi sostanzialmente impedisce al tumore di crescere e danneggiare l’ospite. Il dato più sorprendente è il tasso di sopravvivenza ottenuto con tale trattamento: dopo 3 anni e mezzo dalla diagnosi, il 70% delle donne trattate con la terapia combinata era ancora vivo (contro il 46% delle donne trattate con la sola terapia ormonale). Ciò corrisponde a una riduzione di un terzo nel rischio di morte. Nel complesso, il trattamento sembra inoltre essere ben tollerato dalle pazienti, che non hanno riportato significativi effetti collaterali, al contrario di quanto avviene con le chemioterapie tradizionali.

Un altro risultato rilevante è il notevole aumento del tempo in cui le pazienti hanno evitato una progressione del tumore: nella storia di questa patologia ci sono solitamente dei periodi post-trattamento definiti «progression-free» in cui il cancro non cresce più e sembra completamente regredito. Purtroppo, nella maggior parte dei casi, a distanza di qualche tempo le cellule si riattivano e possono perfino diventare resistenti alla terapia. Nel caso del trattamento combinato, il periodo progression-free è di quasi 2 anni, mentre nelle donne sottoposte a terapia convenzionale è soltanto di 13 mesi.

Questo risultato apre la strada a nuove ricerche che possono tentare di adattare la terapia ad altri tipi di tumori seguendo lo stesso principio d’azione. Per il momento, il team di ricerca sta sperimentando l’uso di alcuni marcatori per individuare più precisamente quali pazienti trarrebbero il maggior beneficio dal nuovo trattamento.