Il gran ritorno di Silvio Berlusconi, il vecchio che avanza

Lo avevamo lasciato nove anni or sono, il 16 novembre del 2011, sotto le monetine e i fischi di Piazza del Quirinale, pronto a rimettere il mandato nelle mani dell’allora Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano.
Il 27 novembre del 2013, colpito da sentenza di condanna a quattro anni di reclusione per frode fiscale, sedeva per l’ultima volta sullo scranno di senatore e si apprestava quatto quatto a rintanarsi nella comoda tana dei servizi sociali.
Da allora mai più abbiamo visto la sua maschera di cera solcare il palcoscenico.
Le sue sconvolgenti apparizioni televisive sono state ridotte alle gag del comico Maurizio Crozza, spesso, a dir la verità, assai meno burlesche di quelle partorite dal personaggio originale.
A lungo, invece, ha riposato dietro le scene, dirigendo da lontano inservienti e ausiliari: prima ha stretto con l’ex giovane leader del centrosinistra, Matteo Renzi, il Patto del Nazareno, poi ha chiamato i figliocci Salvini e Meloni a condividere le sorti del controdestra e, infine, ha autorizzato il leghista felpato a formare un governo nazionale di alleanza programmatica con il Movimento 5 Stelle.

In una serata di novembre, il mese delle sciagure personali, ha compiuto il gran ritorno.
Diversamente dai figliocci, persistentemente intenti a far spallucce, ha, infatti, prontamente accolto l’appello di unità nazionale del Presidente Mattarella e con un segno del dito ha spinto l’intero centrodestra ad approvare, insieme alla maggioranza, lo scostamento di bilancio.
In un attimo è volato in aria un solo monito: apriti sesamo!

Tutti corrono entusiasti verso le accoglienti braccia di Silvio.
Dopo aver ideato il Piano Draghi, progetto sfumato sull’onda dell’entusiasmo popolare per le mitiche imprese di Giuseppi, Matteo Renzi ha un nuovo regalo per il governo giallorosa, il Piano Ursula: rimpasto veloce, fuori Conte, dentro Silvio.
Segue nella rincorsa a Forza Italia il democratico Goffredo Bettini, più cauto nel considerare Conte come elemento non cedibile, ma egualmente bramoso di  «energie e competenze migliori».
Luigi di Maio dedica una cena alla forzista Casellati, Presidente del Senato, e non dimentica di ringraziare il re redivivo per il grande senso di responsabilità verso le istituzioni.
Nel frangente, le insistenze di PD e IV verso un governissimo allargato si fanno sempre più stringenti.
Di Maio tace, Conte interviene e dichiara espressamente di non voler aprire ad alcun ingresso forzista.
Prima che di Maio convalidi l’indirizzo del Premier, trascorrono molte ore e la parte scettica del gruppo parlamentare grillino, con le parole della senatrice Lezzi, ricorda ai capidelegazione che Silvio rimane un mafioso, leader di un partito politico cofondato con un condannato per concorso esterno in associazione mafiosa.

Forza Italia, intanto, incassa e ringrazia.
Renato Brunetta, da oltre un ventennio fedele alle cause berlusconiane, definisce Luigi di Maio un leader vero, il più bravo dei suoi studenti, produttore di proposte interamente sovrapponibili a quelle del partito di Silvio. In un tempo non molto lontano, invece, aveva più volte vergato il giovanotto di Pomigliano d’Arco, truffatore ignorante e spudorato, uno spaccone cui occorre togliere il vino.
Quale formula, allora, ha potuto convincere il sesamo ad aprirsi?
Da più parti, perfino dal noto analista Crozza, è lanciata un’unica soluzione:
l’emendamento Salva-Mediaset, o meglio Anti-Bolloré, inserita dal Ministro per lo sviluppo economico, Stefano Patuanelli (M5S), nel tessuto del Decreto Covid, nonché diretta a frenare la scalata del gruppo francese Vivendi in seno a Fininvest, di cui oggi controlla, direttamente o tramite società terze, il 28,8 % delle azioni.
Una decisione normativa che, in seguito alla sentenza della Corte di Giustizia di Lussemburgo, potrebbe perfino risultare contraria all’art 49 del TFUE, che sancisce il principio di libertà di stabilimento. La Commissione Europea ha dichiarato di voler analizzare con cura la misura legislativa e, se dovesse riscontrare cause di incompatibilità, forti ripercussioni negative potrebbero ripercuotersi sull’Italia tutta.

Esiste anche chi non approva.
Dall’altro lato del teatro Nicola Morra, dopo le dure parole contro il forzista Domenico Tallini, agli arresti domiliari per concorso esterno in associazione mafiosa, è ormai presidente di una Commissione Antimafia vuota, disertata dal centrodestra.
Alessandro di Battista, fuori dall’universo delle istituzioni festanti, richiama i vertici pentastellati a non trattare con il letame e , anche sull’entrata di Silvio Berlusconi in maggioranza, gioca, nelle fila del Movimento 5 Stelle, il suo derby contro Luigi di Maio.
Italia Viva e Partito Democratico ben conoscono le beghe interne del loro alleato di maggioranza e non desistono nella conquista delle grazie di Forza Italia.

Con il gran ritorno del Vecchio, per il Governo Conte II si avvia una nuova fase, segnata dalle imminenti decisioni sul rimpasto e sull’ingresso di Silvio Berlusconi in maggioranza.
Zingaretti e Renzi potrebbero trarne profitto, ma, a spese di Giuseppe Conte e del Movimento 5 Stelle.

Il giorno in Silvio Berlusconi decadde dalla carica di senatore, la grillina Paola Taverna si infervorò per l’atmosfera di una stagione nuova, intrisa dell’aria di cambiamento, che rovescia, che purifica, che dissolve il Vecchio.
L’impresa dell’armata grillina potrebbe rinvenire la propria Waterloo proprio nel nuovo ritorno del Vecchio alla guida del governo nazionale?
Dopo aver incitato le masse all’esecuzione della rivoluzione gentile, all’esito del rimpasto, l’unico trofeo dei generali grillini sarebbe quello di condividere una manciata di poltrone con il Vecchio, risultato ben lontano dalla promessa vittoria.
Come i soliti ignoti del compianto Mario Monicelli, la gang di rapinatori, diretta da un comico, Grillo/Totò, per lo scassinamento di un’opulenta roccaforte, potrebbe doversi accontentare di un piatto di pasta e ceci, peraltro da dividere, boccone dopo boccone, con Silvio, ben noto per la sua irrefrenabile golosità.
È questo il degno lieto fine che potrebbe garbare al Vecchio che avanza.