Italicum: il direttore risponde alla lettera di Matteo Renzi a «La Stampa»

Caro Direttore, (Mario Calabresi, direttore de La Stampa, ndr)
il dibattito sulla nuova legge elettorale è molto acceso. Credo che i toni dipendano in larga parte da un giudizio duro e molto diviso sull’azione mia e del governo che presiedo. Rispetto naturalmente ogni diversa valutazione. Ma credo che sia un mio dovere tornare al merito della legge: la verità, vi prego, sull’Italicum.
La verità, fuori dalla rappresentazione drammatica di chi grida all’attentato alla democrazia. O di chi considera fascista la scelta di mettere la fiducia sulla legge elettorale, ignorando che fu Alcide De Gasperi a farlo, affidandone le ragioni in Parlamento all’arte oratoria di Aldo Moro: due grandi democratici, due grandi antifascisti. La verità, solo la verità, sull’Italicum.
Questa legge elettorale prevede un ballottaggio come per i sindaci, anche se la percentuale necessaria ad evitarlo scende al 40%. Attribuisce 340 deputati a chi vince le elezioni, al primo o al secondo turno, consentendo dunque un piccolo margine di sicurezza nell’attività parlamentare. Più o meno la metà degli eletti sarà espressione di un collegio grande poco meno di una provincia media e l’altra metà verrà eletta con preferenze: al massimo due, di cui una donna. Per venire incontro alle richieste di minoranze e anche di alcuni partiti di maggioranza, la soglia di sbarramento è stata abbassata al 3% (in Germania per intenderci è al 5%).
Il premio viene attribuito alla lista vincente, non più alla coalizione: con questo atteggiamento speriamo di arrivare a un compiuto bipolarismo. Il mio sogno è che in Italia si sfidino due partiti sul modello americano, Democratici e Repubblicani.
Ma in ogni caso, indipendentemente dai sogni, si impedisce di rifare le solite ammucchiate elettorali chiamate coalizioni che il giorno dopo si sciolgono come neve al sole: chi di noi ha votato l’Unione nel 2006 – una coalizione che andava da Mastella e Dini a Bertinotti e Turigliatto – ne ricorda la tragica fine. Ma analogo potrebbe essere il giudizio sull’esperienza della Casa delle Libertà due anni dopo. Torneremo a vedere i candidati sul territorio; torneremo a fare campagne elettorale tra persone sui collegi e non solo nei talk-show; torneremo dopo anni a scegliere le persone e, finalmente, la sera stessa del voto sapremo chi ha vinto.
Rottamato il cosiddetto Porcellum (perché l’ultima legge elettorale approvata da chi oggi grida al fascismo è stata definita dal suo ideatore una «porcata»), mandiamo in soffitta anche il desiderio strisciante di un neocentrismo consociativo teso a mantenere per sempre il proporzionale puro uscito dalla Corte Costituzionale, riservando ai gruppi dirigenti la scelta di governi costanti di grande coalizione.
L’Italicum non sarà perfetto, come nessuna legge elettorale è perfetta. Ma è una legge seria e rigorosa che consente all’Italia di avere stabilità e rappresentanza, che cancella le liste bloccate, che impone la chiarezza dei partiti davanti agli elettori. Soltanto uno potrà dire di aver vinto: non come adesso quando, dopo i primi risultati, tutti affollano le telecamere per cantare il proprio trionfo.
Abbiamo messo la fiducia perché dopo aver fatto dozzine di modifiche, aver mediato, discusso, concertato, o si decide o si ritorna al punto di partenza. Se un Parlamento decide, se un governo decide questa è democrazia, non dittatura. Se il Parlamento rinvia, se il governo temporeggia, il rischio è l’anarchia. È una grande lezione del miglior pensiero costituzionale di questo Paese, non è necessario aver fatto la tesi su Calamandrei per saperlo.
La nuova legge elettorale è stata promessa nel 2006, ma purtroppo non si è realizzata.
È stata promessa nella legislatura successiva e non portata a termine né durante il governo Berlusconi, né durante il governo Monti: tante trattative e poi nulla di fatto.
È stata promessa nella legislatura successiva dal governo Letta, ma il suo iter si bloccò quasi subito, impantanata come altri progetti.
Adesso ci siamo: approvata in prima lettura alla Camera, in seconda al Senato, poi in Commissione alla Camera. Discussa in Parlamento e nelle sedi dei partiti. Approvata da Forza Italia nella stessa versione che oggi viene contestata. Modificata più volte, ma adesso finalmente pronta.
Che facciamo? Facciamo altre modifiche per ripartire da capo?
La legge elettorale perfetta esiste solo nei sogni: decidiamo o continuiamo a rimandare?
Mettere la fiducia è un gesto di serietà verso i cittadini.
Se non passa, il governo va a casa. Se c’è bisogno di un premier che faccia melina, non sono la persona adatta. Se vogliono un temporeggiatore ne scelgano un altro, io non sono della partita.
Se passa, significa che il Parlamento vuole continuare sulla strada delle riforme. Per come li ho conosciuti la maggioranza dei deputati, la maggioranza dei senatori hanno a cuore l’Italia di oggi e quella dei nostri figli. E se lo riteniamo necessario ci sarà spazio al Senato per riequilibrare ancora la riforma costituzionale facendo attenzione ai necessari pesi e contrappesi: nessuna blindatura, nessuna forzatura.
Con lo scrutinio palese – imposto dal voto di fiducia – i cittadini sapranno. Sapranno chi era a favore, chi era contro. Tutti si assumeranno le proprie responsabilità. Il tempo della melina e del rinvio è finito. C’è un Paese che chiede di essere accompagnato nel futuro, sui temi più importanti della vita delle famiglie. Se non riusciamo a cambiare la legge elettorale dopo averlo promesso ovunque, come potremo cambiare il Paese? La politica ha il compito di dimostrare che può farcela, senza farsi sostituire dai governi tecnici e dalle sentenze della Corte. Occorre coraggio, però. E questo è il tempo del coraggio. Alla Camera il compito di decidere se è il nostro tempo. Ma a scrutinio palese, senza voti segreti, assumendosi la propria responsabilità.

Matteo Renzi


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Caro Presidente,
spero che non si offenderà se desidero rispondere anche io a questa sua lettera indirizzata al direttore de La Stampa Mario Calabresi; veda il lato positivo: potrà giovarsi di due visioni che probabilmente avranno poco in comune l’una con l’altra.
Innanzitutto desidero farle i complimenti per l’ars retorica utilizzata in questa sua missiva, che ha gli stessi toni dei discorsi dei grandi statisti. Ovviamente però è firmata Renzi, e si vede.
Prima di porle io stesso qualche domanda, sperando che trovi il tempo di rispondere, desidererei condividere con lei qualche perplessità; una premessa: non penso di avere la preparazione per comprendere appieno la grandezza dell’italicum (come gran parte dei – pochi – italiani che stanno seguendo la vicenda), quindi mi perdoni se i miei dubbi le risultano banali o sciocchi: non ho neppure una laurea e non sto studiando scienze politiche.
Lei scrive che la questione di fiducia sulla legge elettorale «è una grande lezione del miglior pensiero costituzionale di questo paese, e non serve aver fatto la tesi su Calamandrei per saperlo» ma, da quanto risulta a me e a qualche altro ignorantone come Ferdinando Imposimato (ex magistrato, presidente onorario e aggiunto della Corte Suprema di Cassazione), la fiducia sull’italicum è incostituzionale. Cito a tal proposito l’articolo 72 (comma 4) della Costituzione: «La procedura normale di esame e di approvazione diretta da parte della Camera è sempre adottata per i disegni di legge in materia costituzionale ed elettorale». Sul significato di «normale» si potrebbe dibattere ma, (citando lei) non serve aver studiato giurisprudenza per saperlo, la legge è per sua natura soggetta a interpretazione; e non di chiunque («profani» come me e lei, per esempio), ma da parte di chi passa la sua vita a studiarla: per esempio Imposimato.
Ammesso e non concesso che la questione di fiducia sull’italicum sia costituzionale, ho notato qualche (involontaria, suppongo) omissione nella sua lettera: quando parla del precedente citando l’operato di De Gasperi, si dimentica di spiegare di cosa sta parlando. Nessun problema, lo faccio io per lei: lei ha menzionato la cosiddetta «legge truffa» del 1953, promossa da Mario Scelba, ministro dell’interno del governo De Gasperi. Il nome attribuito a questa legge elettorale è tutto un programma ma, se confrontata con l’italicum, pare essere addirittura accettabile: premio di maggioranza (65% dei seggi) alla lista o gruppo di liste che avesse superato il 50% mentre, lo ricordava lei stesso, la nuova legge elettorale attribuisce il 55% alla lista che supera il 40% (circostanza abbastanza improbabile) o che vince il ballottaggio. A tal proposito mi è venuto in mente un esempio, che mi permetto di condividere con lei: abbiamo tre liste «forti», A, B e C (ignoriamo per comodità tutte le altre) che al primo turno ottengono rispettivamente il 25, il 22 e il 20% (non è così assurdo), secondo quanto appena detto, A e B vanno al ballottaggio (dove votano, sempre per ipotesi, per la stragrande maggioranza, solo i sostenitori delle due forze politiche in gioco) e vince la lista B. Quest’ultima si trova con il 55% dei seggi a fronte del 22% delle preferenze nel primo turno. Mi auguro che lei possa correggermi, perché una situazione come questa mi pare l’aberrazione della democrazia.
Nel gennaio del 2014 lei scriveva su twitter, parlando della legge elettorale: «Le regole si scrivono tutti insieme, se possibile. Farle a colpi di maggioranza è uno stile che abbiamo sempre contestato». Non è esattamente quello che lei sta facendo in questi giorni? Le pare di aver fatto tutto il possibile per evitare questa
extrema ratio? A me non sembra. Fare le cose per forza non deve voler dire farle male.
Per parlare invece dei capolista bloccati: ha qualche ragione logica e favorevole al popolo questa decisione? Le ricordo che la prima versione dell’italicum contemplava, come il porcellum del resto, tutte le liste bloccate ed è dovuta intervenire la Corte costituzionale per togliere questa idiozia che favorisce solo i candidati amici dei vertici del partito.
Sperando che non si negherà ad un confronto su queste pagine, porgo cordiali saluti.

Tito Borsa
Direttore de
La Voce che Stecca