Niente più grucce appendiabiti: le donne argentine hanno diritto all’aborto

In Argentina il 2021 si apre con una grande vittoria: dopo il voto favorevole della Camera dei Deputati, il disegno di legge per la legalizzazione dell’interruzione volontaria di gravidanza è stato approvato anche dal Senato. All’annuncio dell’avvenuta votazione per le strade della capitale si udivano solo cori vittoriosi di voci femminili. Il che a pensarci è qualcosa di cui abbiamo un’esperienza limitata: qualunque sia la dimensione e la natura della manifestazione, difficilmente è possibile connotare le grida dei partecipanti come esclusivamente maschili o femminili. Piuttosto le voci tendono a confondersi, ad organizzarsi efficacemente in cori in cui l’identità collettiva prevale su quella individuale e di fronte ai quali l’attenzione viene spostata dai partecipanti alle loro rivendicazioni. Ma le voci che hanno riecheggiato per le vie di Buenos Aires lo scorso 30 dicembre hanno un suono tutto diverso: sono voci di donne perché quella per la legalizzazione dell’aborto è stata una battaglia e una vittoria di cui le uniche protagoniste sono state loro. 

Quella che è stata approvata nei giorni scorsi è infatti la nona proposta di legge avanzata dalla Campaña Nacional por el Derecho al Aborto Legal, Seguro y Gratuito, il movimento che in questi 15 anni si è fatto portavoce insieme a numerosi collettivi femministi della lotta per la depenalizzazione e la legalizzazione dell’interruzione di gravidanza. Di questi 9 tentativi solo quello del 2018 era arrivato fino al Senato, l’ultima tappa dell’iter legislativo, da cui era stato tuttavia respinto. Il disegno di legge approvato nel 2020, grazie a cui l’Argentina diventa il paese più grande dell’America Latina ad essersi dotato di una legislazione in materia, è dunque il frutto di anni di lotte ma anche di continue negoziazioni con il governo che al testo ha apportato sostanziali modifiche. 

Se il testo approvato inserisce infatti l’aborto nel programma medico obbligatorio, analogamente a quanto succede in Italia, considerandolo di conseguenza una prestazione medica di base, essenziale e gratuita, la legge prevede la la possibilità di obiezione di coscienza individuale e di struttura. Questo significa che le strutture ospedaliere private, che in Argentina sono in larga parte gestite da enti religiosi, potranno rifiutarsi di esercitare interruzioni di gravidanza nel pieno rispetto della legge. Ad arginare gli effetti disastrosi che questa disposizione di legge avrebbe potuto avere sull’effettiva applicazione del testo, è previsto tuttavia l’obbligo di garantire il servizio attraverso il trasferimento in una struttura pubblica disponibile. Si tratta di un compromesso su cui si è a lungo dibattuto in fase di approvazione del testo e su cui, di fatto, si gioca l’efficacia della legge. Se la messa in pratica del testo dovesse infatti rivelarsi fallace su questo punto, non è escluso che il dibattito si riaccenda e che la legge stessa venga messa in discussione.

Per adesso, in un’Argentina in cui la Chiesa cattolica svolge ancora un ruolo centrale nell’orientare la vita sociale e politica del Paese, l’approvazione di una legge per la legalizzazione dell’aborto rimane un grande passo avanti, non una vittoria a metà, ma un segnale di cambiamento. Con l’introduzione dell’interruzione di gravidanza nel programma medico obbligatorio nazionale, è bene ricordarlo, non si dà il via libera a comportamenti sessuali sfrenati e spensierati, che se vissuti responsabilmente non sarebbero nemmeno dannosi per la salute. Piuttosto il riconoscimento del diritto all’aborto dal punto di vista legale permette di porre fine a decenni di interruzioni di gravidanza praticate clandestinamente e nei modi più barbari. Non è un caso che in Argentina siano state le grucce appendiabiti, le stesse utilizzate per praticare gli aborti clandestini, ad essere state il simbolo di questa lotta.