Note a margine sulle quote rosa

we-can-do-itLe quote rosa, idolo indiscusso di tutte le campagne elettorali, consistono in alcune normative volte a eliminare la discriminazione di genere nei confronti delle donne. Possono riguardare la pubblica amministrazione, le liste delle elezioni e anche il privato. Cosa comportano? Che, per esempio, nel consiglio di amministrazione di un azienda, ci debbono essere un minimo di donne. Non possiamo evitare, anche a costo di essere bollati di maschilismo, di sorridere di fronte a queste ridicole contromisure rispetto al perenne sessismo di cui è affetto il nostro paese. Ma, a pensarci bene, cosa comporta l’istituzione delle quote rosa? Facciamo un semplice esempio per essere più chiari, useremo numeri piccoli per evitare caos: nel cda dell’azienda XY devono accedere due persone che, a causa delle quote rosa, saranno di sesso diverso. I candidati sono 4: Marco con 100 punti, Alberto con 95, Angela con 90 e Nicoletta con 30. Per logica dovrebbero essere ammessi Marco e Alberto, mentre il limite posto dalle quote rosa fa aumentare virtualmente il punteggio di Angela e la fa entrare di diritto nel consiglio di amministrazione della società. Sono pari opportunità queste? In uno stato liberale dovrebbe esserci solo ed unicamente meritocrazia, nemica di ogni discriminazione ma vittima di questi finti rimedi che non fanno altro che far saltare la fila a persone che non se lo meritano solo in virtù del loro essere donne. Le donne dovrebbero indignarsi per essere viste non come delle persone che hanno dei meriti, ma come delle donne che si appellano al loro essere donne per andare avanti. «Le quote rosa le ha fatte un uomo» è la frase che gira sul web a proposito di questa follia proposta più volte da una Sinistra che non sa trovare una versa soluzione ad un problema, la discriminazione di genere, che è innegabile che sia presente in uno stato di trogloditi come il nostro. Nuove idee all’orizzonte? Tabula rasa.

Tito G. Borsa