Il pareggio di bilancio in Costituzione e il contrasto tra liberismo e liberalismo

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Quando si parla di pareggio di bilancio in Costituzione, ci riferiamo a un indirizzo squisitamente liberista della concezione dello Stato, che limita al massimo l’impronta che lo stesso può esercitare all’interno dell’economia, per affidare tutto alla mano invisibile del mercato come entità curativa, capace di allocare le risorse in maniera ponderata, senza creare distorsioni. Insomma, mercato come entità suprema a cui affidare le chiavi della civiltà nazionale. Se nei manuali di macroeconomia esiste capitoli sui fallimenti del mercato è perché esso non risulta essere quell’entità terza, regolatrice automatica dei rapporti economici.

Ora diamo la parola ai protagonisti che votarono questa riforma.

Analisi perfetta dell’On. Bersani, allora segretario del Partito Democratico, che ammise chiaramente di aver ben in testa le conseguenze dell’inserimento del principio del pareggio di bilancio in Costituzione. La conseguenza è quella di azzerare l’impronta dello Stato nell’economia. E se una maggioranza votata dal popolo alle elezioni politiche vota la fiducia a un governo impossibilitato a incidere a livello politico sull’economia, stiamo di fatto assoggettando la politica all’economia. Questo significa una sola cosa: l’azzeramento di un processo democratico reale e il passaggio a una democrazia idraulica, che mantenga lo scheletro, le istituzioni, le sembianze di una democrazia, ma che in realtà pone il suo cervello in una condizione di incapacità di autodeterminarsi. E cos’è la democrazia, se non la possibilità di autodeterminazione di un popolo?

Tutto il castello democratico costituzionale si giocava sulla supremazia della politica sull’economia e quindi sulla possibilità degli eletti di imporre una direzione politicamente guidata ai processi economici in atto. Era lo Stato l’entità incaricata, in quanto costruzione giuridica comprendente la comunità nazionale. Una democrazia sostanziale che è venuta a mancare, prima con il Divorzio tra il ministero del Tesoro e la Banca d’Italia, poi con l’ingresso nell’Euro e l’introduzione del principio del pareggio di bilancio. Così facendo, si mettono i Mercati in cima alla piramide, e si assoggetta a essi la democrazia sostanziale.

Ascoltate Orlando del Partito Democratico.

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Qualsiasi politica economica keynesiana viene bandita su una strada ordoliberista, che si serve del primato dell’economia sulla politica per far ruotare a 180° le basi della società. Questa scelta palesemente illiberale, pone il liberismo in contrasto col liberalismo, un’antitesi curiosa. Fissare nella Costituzione, nel patto sociale che regge i rapporti di un popolo, quale dev’essere l’impostazione economica, proprio come diceva Bersani, non esiste in nessun posto al mondo, tranne l’Italia.

Nel contratto di governo Movimento 5 Stelle-Lega c’è l’abolizione di questo principio, cardine principale per ricostruire uno Stato sostanziale non assoggettato al Mercato. C’è già una proposta di legge depositata dalla deputata m5s Ciprini. E’ l’atto Camera 520 «Modifiche agli articoli 81, 97 e 119 della Costituzione, concernenti l’eliminazione del principio del pareggio di bilancio». Inoltre, conosciamo l’esistenza di un lavoro in corso d’opera dell’economista della Lega Claudio Borghi Aquilini. Starà alla maggioranza di governo ragionare sul momento giusto in cui incardinare la riforma, consci di una battaglia che si dovrà vincere tramite referendum.