Perché dobbiamo essere antieuropeisti: l’attacco dell’UE alla democrazia

Antieuropeismo» è un termine che, nel corso del tempo, ha assunto due significati: il primo ha una connotazione culturale e si riferisce a un’ostilità verso la civiltà europea e ciò che essa rappresenta; il secondo, invece, ha una natura più «politica» e va a contestare le modalità concrete con cui si è realizzata l’aggregazione tra i vari Stati del Vecchio Continente. Gli euroinomani cercano di farci credere che gli antieuropeisti sposino la prima valenza del termine perché, come sempre, quando si ha difficoltà a sconfiggere un’idea la si trasforma nella sua sciocca e sbiadita parodia, per renderla più ridicola alle orecchie dell’ascoltatore. Noi invece ci dichiariamo antieuropeisti proprio perché vogliamo proteggere e difendere le conquiste che la civiltà europea ha conseguito nel corso dei secoli.

Quali sono le conquiste che l’UE mette a repentaglio? Innanzitutto, l’idea stessa di democrazia: un progetto politico non si costruisce tramite meccanismi calati dall’alto, tanto più se ha ambizioni e velleità di così ampio raggio. È un fatto oggettivo che, nella stragrande maggioranza delle occasioni, le decisioni prese dai «grandi» di Strasburgo o di Bruxelles non sono state sottoposte al giudizio popolare. Quando ciò è successo, nonostante una campagna elettorale martellante e a senso unico – che ha visto uniti i mass media padronali e quelli della sedicente sinistra, toh che strano! – spesso e volentieri gli euroinomani sono usciti con le ossa rotte: Francia, Olanda e Irlanda hanno espresso un chiaro No alla Costituzione europea, la Gran Bretagna ha votato per la Brexit nonostante le conseguenze catastrofiche paventate in caso di vittoria del «Leave». Per i primi tre Stati citati, si è trovato il modo di aggirare l’ostacolo ignorando semplicemente il responso delle urne (anche qui: democrazia, dove sei?); nel caso inglese, la tenace opposizione di Johnson ha – per ora! – scongiurato questa eventualità, ma fino a qualche mese addietro si parlava addirittura di ripetere il referendum. Un po’ come il bambino viziato che tutti abbiamo conosciuto nella nostra infanzia, quello che voleva giocare e rigiocare fino a che non vinceva e che, se in caso contrario, si portava a casa il pallone. E l’Italia? I partigiani dell’Unione Europea si sono trincerati dietro l’articolo 75 della Costituzione, il quale sentenzia che «non è ammesso il referendum di autorizzazione a ratificare trattati internazionali» (autorizzazione alla ratifica, dunque, ma per ciò che concerne l’abrogazione di quelli già ratificati che si fa?), autorizzazione che è esclusivo appannaggio della Camere. E sia, ma una classe politica accorta dovrebbe capire che non ha senso far ingoiare ai cittadini un calice che essi non vogliono bene: tutti i sondaggi – non ultimo quello di Eurobarometro, pubblicato sul Fatto Quotidiano il 17 ottobre 2018 – indicano una chiara ostilità degli italiani verso l’UE e le sue ramificazioni.

Secondo attacco dell’UE al pensiero democratico: non si può appiccicare un concetto politico-economico su uno storico-geografico. Oltre ad essere irrispettoso e incivile, denota una hýbris degna di Icaro. L’Unione Europea e l’Europa non sono concetti combacianti! L’Europa è incompatibile quel grande superstato che alcuni straparlanti vorrebbero attuare: i precedenti tentativi di crearlo hanno portato a tensioni, guerre e morti. Questa è una delle molte ragioni per cui gli Stati europei devono essere sovrani. Prima che esistesse l’UE, vigeva una comunità economica in cui i paesi commerciavano tra loro con tariffe ridotte. Dopo l’esperienza traumatica della seconda guerra mondiale, si trattava di una mossa logica, che aveva anche dato dei buoni frutti. Non era un sistema perfetto, ma era migliore rispetto a quello odierno: a quel tempo, i paesi potevano stringere accordi commerciali con Stati al di fuori della CEE e avevano il controllo delle proprie leggi (in caso di incompatibilità tra legge locale e legge europea si dava priorità a quella più recente, mentre oggi quella nazionale viene accantonata in ogni caso). Ma poi i burocrati di Bruxelles si sono spinti troppo oltre e ci hanno sbattuto in faccia la moneta unica, l’allargamento e la Costituzione comune. Hanno incollato tra loro popoli che devono essere amici ma che non sono «la stessa cosa»; ce lo ricorda anche il noto professore Alessandro Barbero il quale, con l’onestà intellettuale che lo contraddistingue, in una recente intervista concessa a Daniela Ranieri ha dichiarato: «Quando ci hanno venduto l’Unione europea come grande speranza, Europa voleva dire Europa occidentale, paesi molto simili che sono precipitati nei due disastri delle guerre e volevano inventarsi un modo diverso di stare insieme. L’ideologia oggi dominante che vede solo il vantaggio economico ha portato dentro Paesi di per sé gloriosi – Romania, Bulgaria, Polonia, Lettonia – che però non condividono storia e cultura dell’Europa occidentale».

Veniamo al terzo punto, che ci consente d’affermare che i concetti di Unione Europea e di democrazia sono antitetici tra loro. Ci sono tre corpi che possono rendere effettiva una legge: la Commissione, il Consiglio e il Parlamento; solo quest’ultimo però è sottoposto al vaglio popolare. Due terzi di ciò che ha voce in capitolo è fuori dal nostro controllo, completamente alla mercé degli accordicchi di palazzo. Inoltre, il Parlamento Europeo non può proporre leggi e non può approvarle da solo: gli è riservata la cosiddetta procedura di co-decisione, poiché le leggi vengono scritte da tecnocrati non eletti (come la Commissione Europea); in parole povere, l’UE ha tutto il controllo, ma nessuna responsabilità, perché non esistono strumenti – voti di sfiducia, referendum abrogativi, ecc. – per cacciare gli incapaci quando fanno un lavoro orribile.

(Continua…)

Francesco Bennardo