Strage di via D’Amelio: le ingerenze dei servizi segreti – parte 3

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Interrogato dal Presidente della Commissione Fava sulle indagini sulla borsa, l’allora Maresciallo Canale nega il fatto che iniziarono subito.

FAVA, presidente della Commissione- «Nel 1992 nemmeno una attività investigativa venne fatta sull’agenda? Non fu presa assolutamente in considerazione?»

CANALE- «Zero… Io, quando la vidi, la borsa, naturalmente mi misi a piangere perché vedere la borsa come era ridotta… Ma non era una borsa dove dentro si poteva bruciare l’agenda. Perché all’interno della borsa fu rinvenuta la batteria del cellulare di Paolo Borsellino, batteria regolarmente funzionante».

Per ciò che riguarda più specificamente quello che successivamente venne definito come «il depistaggio», è necessario notare come le prime indagini sull’attentato di via D’Amelio si muovono su un crinale diametralmente opposto alle prescrizioni e ai divieti di leggi, registrando un’anomala, significativa e determinante (negli esiti) collaborazione tra la procura di Caltanissetta e i vertici dell’allora SISDE. .

Il primo contatto lo accende il procuratore Tinebra, con una iniziativa personale assolutamente sui generis (ma senza che alcuno, tra i suoi pm, sollevi o registri obiezioni). Il giorno dopo la strage, Tinebra convoca nel proprio ufficio il dottor Bruno Contrada, all’epoca numero 3 del SISDE, e gli chiede di collaborare direttamente alle indagini con la procura di Caltanissetta. Ecco come Contrada, nel corso del dibattimento del Borsellino quater, ha ricostruito gli avvenimenti in questione. 

TESTE CONTRADA- «La mattina dopo, il 20 luglio 1992, ebbi una telefonata dal dottor Sergio Costa, funzionario di Polizia, commissario di Pubblica Sicurezza, aggregato… nei ruoli del SISDE… ed era il genero del Capo della Polizia Vincenzo Parisi… il quale mi dice che, per incarico di suo suocero, il Capo della Polizia Parisi, ero pregato di andare dal Procuratore della Repubblica di Caltanissetta, dottor Giovanni Tinebra. (…) Io andai quella sera dal dottor Tinebra, che non conoscevo, con cui non avevo avuto mai rapporti, e il dottor Tinebra mi disse : se io ero disposto a dare una mano, sempre in virtù della mia pregressa esperienza professionale, per le indagini sulle stragi. La mia poteva essere soltanto un’attività informativa, non operativa; che per Legge noi non potevamo avere rapporti diretti con la magistratura; che, in ogni caso, io avrei dovuto chiedere l’autorizzazione ai miei superiori diretti, e parlo del mio direttore, che era allora il Prefetto Alessandro Voci, e che anche una collaborazione sul piano informativo poteva avvenire soltanto previ accordi con gli organi di Polizia Giudiziaria che erano interessati alle indagini. Nell’occasione il dottor Tinebra mi disse anche, così, per inciso, dice: «Sa, io mi rivolgo a lei perché a Caltanissetta è stato costituito un ufficio della DIA, Direzione Investigativa Antimafia, ma da poco tempo e mi sono reso conto che c’è personale che di fatti di mafia ne comprende ben poco».

Un dato emerge con forza: di questa anomala collaborazione tra servizi segreti e procura di Caltanissetta non ne era al corrente solo il procuratore Tinebra, che la sollecitò, ma anche i vertici della Polizia di Stato. E non solo loro, stando alla ricostruzione che Pietro Grasso ha proposto in Commissione venne chiesto anche al Colonnello Ruggeri, Capocentro del Sisde di Palermo, di far parte delle indagini.

GRASSO- «C’è una testimonianza del Capocentro del Sisde di Palermo, il colonnello Ruggeri, che espressamente dice che – mentre si trovava in ferie – venne chiamato dal genero del capo della Polizia, Parisi, Sergio Costa, un funzionario aggregato nei ruoli del Sisde, che gli fa interrompere le ferie per parlare con Tinebra. Da Tinebra, Ruggeri riceve l’incarico, irrituale assolutamente, di fare indagini sulle stragi. Il colonnello però non accetta l’incarico se non autorizzato dal suo centro Sisde di Roma e di intesa con la Polizia di Stato e l’Arma dei Carabinieri, a cui secondo la normativa andavano le notizie di qualsiasi informazione che potessero aiutare le indagini».

FAVA, Presidente della Commissione- «Quando Ruggeri chiede l’autorizzazione a Roma, questa autorizzazione arriva?»

GRASSO- «Certo, c’è l’autorizzazione di Roma, c’è anche l’intesa con le forze di polizia giudiziaria che vengono informate che c’è questa attività… Questa attività porterà ad un rapporto su Scarantino che viene tirato fuori dal cilindro come un personaggio, probabilmente influenzabile, ma che aveva un rapporto familiare, in quanto era cognato di Salvatore Profeta, riconosciuto Boss mafioso della Guadagna e un collegamento anche con Orofino…Ecco come viene costruito il tutto».

L’attuale senatore Grasso, oltre ad affermare il coinvolgimento tra Servizi Segreti, Magistratura, Polizia di Stato e Arma dei Carabinieri, vede questa iniziativa di coinvolgere i Servizi Segreti come il preludio del depistaggio che portò alla falsa testimonianza il cognato del boss Salvatore Profeta, ovvero Scarantino.

Continua…