Le ricadute sociali del liberalismo e l’espediente della flessicurezza

Flessibilità. È questa la parola d’ordine liberale quando ci si interfaccia al mercato del lavoro. Un dogma sacro che ha spinto i Paesi dell’Unione Europea ad approvare riforme sempre più dannose per i lavoratori subordinati, minando pesantemente la stabilità lavorativa e, di conseguenza, l’opportunità di pianificare un progetto di vita a medio termine. La flessibilità, secondo i liberali, andando ad allentare i vincoli stringenti tra il capitale ed il lavoro, genererebbe vantaggi di carattere generale, spingendo le imprese ad assumere più forza lavoro e ottenendo un conseguente innalzamento del tasso di occupazione. Vedremo come tale teoria cada in contraddizione, vista l’applicazione di palliativi alle sue conseguenze.

Il male principale è dato dal totale appiattimento a queste logiche ideologiche anche da chi, in passato, rappresentò l’argine a tutela di un mercato del lavoro tutelato e dignitoso: la sinistra. Perché, se è vero che la destra ideologicamente promuove politiche liberali per tutelare il capitale dal lavoro, ora non vi è più una forza che spinga in senso opposto tutelando il lavoro dal capitale, nella più classica delle lotte: la lotta di classe. Il modello della cosiddetta società flessibile è stato abbracciato in maniera generalizzata e la logica liberale ha investito anche quei soggetti politici ancora oggi etichettati – erroneamente – come socialdemocratici.

La flessibilità fa rima con la precarietà, in quanto la prima causa la seconda. Una precarietà, fondata su contratti a tempo determinato aventi una durata via via più limitata, che blocca l’opportunità di progettarsi il futuro. Un futuro con vista sempre più ravvicinata, nella speranza continua di un ulteriore prolungamento. Questa è la frontiera di una nuova condizione sociale, uno status, una mentalità, una psiche, che ha evidenti ricadute sulla società anche a livello di autostima degli individui che la compongono.

Da sinistra, la soluzione magica che avrebbe dovuto rendere sostenibile la restaurazione del paradigma liberale è la flessicurezza. Con essa, etichettata come: «un elemento cruciale per modernizzare il mercato del lavoro in UE» si intende abbinare le calcolate ricadute sociali dovute alle politiche liberali, con un cuscinetto di protezioni sociali che ammorbidiscano la perdita dell’occupazione e accompagnino in un percorso che dovrebbe culminare con un nuovo impiego. Dovrebbe, appunto. Se non fosse che l’obiettivo principale delle politiche liberali in tema di lavoro sia proprio quello di dilatare il tasso di disoccupazione, in modo da creare un gioco al ribasso sui salari: la deflazione salariale. Una logica d’insieme che porta a un impoverimento generalizzato nell’arco di tutta la vita: dall’ammontare del salario in età lavorativa, fino all’erosione della pensione in età avanzata.

Ecco che, nel ragionamento sui danni prodotti dalla logica liberale, in tema di flessicurezza entra a pennello una misura come il famoso Reddito di Cittadinanza. In un sistema liberale, come quello promosso dall’Unione Europea, misure come questa costituiscono la parte relativa alla sicurezza – a compensazione dei danni causati dalla flessibilità – ma che, allo stesso tempo, fissano il valore monetario implicito di nuovo ingresso nel mercato del lavoro. Il Reddito di Cittadinanza è presente, in modalità differenziate da Stato a Stato, in quasi tutti i Paesi aderenti all’Unione Europea. Tale misura è stata criticata sostanzialmente da tutti, ma è difficile accettare critiche nella misura in cui la politica italiana non si voglia staccare dalle logiche liberali dell’Unione Europea. Può, invece, essere criticata a ragione da chi si ponga l’obiettivo di combattere i dogmi liberali che hanno portato alla disapplicazione della nostra Costituzione economica, con la finalità di riapplicare la politica economica statalista che miri all’avvicinamento di un tendenziale pieno impiego. In questo caso, sì, l’innalzamento dell’occupazione invertirebbe la dinamica dei salari scardinando l’attuale logica liberal-europeista del NAWRU (Tasso di disoccupazione che non aumenta i salari).