Blogger e giornalisti: il dovere di informare

Scrivere non è sempre facile, soprattutto decidere di scrivere per gli altri, per essere ascoltati, per far riflettere, per creare spunti e opinioni. Scegliere di scrivere è un mestiere «nobile»: ci si mette al servizio dell’informazione, si rischia di essere bersaglio di chi non la pensa come noi, ma soprattutto si cerca di stimolare. Informare è anche questo: cercare di far sorgere la verità, e non per forza perché chi scrive la conosce, ma per trovare un altro punto di vista che non avevamo considerato che ci permette di avere una visione più ampia delle vicende e magari, in alcuni casi, spinge ad essere noi quelli che poi vanno a informarsi e a cercare la verità.

La libertà di stampa nel mondo. Fonte: Reporter senza frontiere
Libertà di stampa nel mondo. Fonte: Reporter senza frontiere. Clicca per ingrandire

Ci sono paesi in cui «il mestiere dello scrivere» è più nobile che in altri. Perché è più pericoloso, si rischia di più, si «dà fastidio a più persone» e per questo motivo ammiro ancora di più chi sceglie addirittura il rischio pur di informare. Quando il mestiere del giornalista o del blogger è in pericolo, è in pericolo in realtà una libertà importante dell’intera società: la libertà di parola, di opinione, di stampa. Spesso noi la diamo per scontata e ancora più spesso ne abusiamo, soprattutto nell’era dei social network dove tutti si sentono in dovere di gettare accuse e proferire opinioni su tutto, protetti dallo schermo del computer e consapevoli di essere intoccabili. «Paradossalmente meno uno sa di un argomento, più ritiene di poterne parlare». Ma cosa accadrebbe se non fosse così? Se dovessimo ponderare ogni parola che scriviamo, se dovessimo temere per la nostra libertà o in alcuni casi per la nostra vita, per avere proferito parole su un certo argomento? Ci sentiremmo davvero così liberi e sicuri di usare i mezzi di informazione a nostro piacimento?
QuiricoDi giornalisti e blogger che hanno avuto problemi con le autorità e con i governi ce ne sono troppi per essere citati tutti. Secondo il rapporto stilato da Reporter senza frontiere nel 2015, l’Italia è scalata al 73esimo posto tra la Moldavia e il Nicaragua per quanto riguarda la libertà di stampa, e l’influenza della mafia in questo ambito è paragonabile a quella dell’Isis e di Boko Haram. I paesi con maggiore libertà di stampa rimangono la Norvegia, la Finlandia e la Svezia, mentre i più pericolosi per i giornalisti sono l’Eritrea e la Corea del nord, con l’avvicinamento di Cina e Russia. Anche se, recentemente, paesi che si stanno distinguendo per un elevato numero di giornalisti accusati, imprigionati o anche uccisi sono la Tunisia, l’Egitto e l’Iran.
La professione di blogger è anche dare voce a chi non viene ascoltato, in momenti storici di vitale importanza. Un esempio fra tutti, Lina Ben Mhenni che, attraverso il suo celebre blog A tunisian girl, è stata nei giorni della rivolta tunisina durante la primavera araba un’importante testimone sul campo. «Fiera contestatrice di Ben Ali», come si legge nel libro Il risveglio della democrazia di Leila El Houssi, Lina Ben Mhenni attraverso il suo blog denunciava abusi e prepotenze del regime. L’unica a usare il suo vero nome non nascondendosi dietro a pseudonimi, Lina Ben Mhenni si recava negli ospedali a fotografare i feriti dalla polizia, scriveva degli abusi del regime che come risposta le censurava la pagina Facebook e Twitter. Questo come esempio di come chi scrive per passione o per vocazione sente intrinseco dentro di sé il desiderio di dare vita a delle parole che altrimenti non verrebbero dette, di accusare qualcuno che altrimenti rimarrebbe intoccato, di svegliare e smuovere le coscienze di chi spesso rimane «cieco servitore» di un governo o di uno stato che nel frattempo gli toglie le libertà fondamentali.

La protesta dei giornalisti in Turchia
La protesta dei giornalisti in Turchia


Il Committee to Protect Journalists si occupa di difendere il diritto di stampa e il diritto dei giornalisti di riportare le notizie senza dover temere per la propria incolumità. Si occupa anche di ricerca e analisi dei dati: dal 1992 ad oggi i giornalisti uccisi sono stati 1180, solo quest’anno siamo già a quota 3; nel 2015 sono stati imprigionati 199 giornalisti, e dal 2008 ad oggi gli esiliati sono stati 456. Il CPJ viene spesso aggiornato con le ultime notizie e analisi fatte, vale davvero la pena di visitare il sito per rendersi conto di questa realtà.
Alla luce di questi eventi, mi chiedo con che faccia io o chi è nella mia situazione, che giornalisti non siamo ma che comunque rendiamo pubbliche opinioni e idee, possiamo lamentarci di eventuali commenti negativi a seguito di un articolo, di telefonate chiuse in faccia o di insulti gratuiti. Mi chiedo cosa farei se vivessi in un paese in cui fare quello che mi piace, scrivere, fosse vietato o addirittura pericoloso per la mia vita. Mi chiedo se la mia passione sarebbe grande abbastanza da spingermi a continuare, o se avrei abbastanza coraggio. Di sicuro le persone citate lo hanno avuto, e per questo vanno ammirate.