Come sassi – Il labirinto

Davanti a sé vide… Grigio, soprattutto molto grigio. Sembrava un surreale isolotto su più piani, con pavimenti uniformi e lisci. Una piattaforma di gioco con sorprese e segreti su ogni piano, forse addirittura delle trappole. Il tutto sospeso in un cielo di nuvole molto lontane, che sfumavano dal celeste al giallo rimanendo sempre velate di grigio. C’erano scale e rampe, pareti di sola muratura e pareti con finestre.

Invece di inquietarla, quel luogo sembrava emanare una musica tranquilla e diffusa dal vento. Eppure c’era il più totale silenzio. Forse le note le stava immaginando June. Ricordava un gioco simile o forse un sogno che aveva fatto, ma in entrambi i casi mancavano tutti i segni di vita che avrebbero dovuto popolare il luogo. Non c’erano piante, nemmeno rampicanti o erbacce. Non c’erano stormi di uccelli in lontananza o poeticamente di passaggio sullo sfondo, nulla. Soprattutto nessun essere umano. Regnava la pace più totale. Se non avesse ricordato di essere all’interno di un percorso e nel mentre di un viaggio, probabilmente costituito da ricordi annebbiati e insabbiati, si sarebbe sentita in trappola e un senso di disperazione l’avrebbe colta, pensò. Lì, invece, sentiva solo il desiderio di esplorare e curiosare in ogni angolo.

Si voltò un momento e vide delle gocce nere, della stessa sostanza che l’aveva portata laggiù, tuffarsi in un vaso posto al contrario, passando per l’unico foro sul fondo. La bocca del vaso era stretta e da lì ne usciva un rivolo d’acqua e delle canalette si diramavano a perdita d’occhio nell’ambiente, senza in realtà seguire le leggi della fisica cui June era abituata. Iniziò a seguire uno di quei rivoletti, che inizialmente sembravano tutti trasportare acqua, ma poi iniziarono a somigliare a rivoletti di puro argento liquido. Presto trovò il rivoletto che stava seguendo impegnato ad incorniciare un grande quadro giallo. Sul quadro le pennellate formavano diversi cerchi diventando sempre più scure verso il centro.

Istintivamente, June toccò il punto centrale, che era di una tonalità talmente scura da sembrare più nero che giallo ormai. Si ritrovò immediatamente al centro di un tappeto uguale identico al quadro, come quest’ultimo fosse stato disteso a terra e fosse stato tessuto invece che dipinto. Si guardò attorno e scoprì di essere ancora nello stesso ambiente, solo in un’altra stanza, aperta come tutte le altre. Ai suoi lati una serie di lampade sfumavano dal magenta al giallo chiaro, passando per rosso e arancio.

L’atmosfera era veramente calda e piacevole. June si distese e fu allora che notò il soffitto, o meglio la parte sottostante il pavimento di una stanza sopraelevata, che non poggiava sulle pareti di quella in cui si trovava. L’idea di essere più in un sogno o un’allucinazione si faceva sempre più strada in June, ma rimaneva in disparte senza preoccupare tutto il resto di lei. L’unica cosa che la interessava ora era quella specie di lucernario, o forse uno schermo, su cui scorrevano nuvole leggere trasportate dal vento in un cielo perfettamente azzurro.