Da Davos, lo scenario inquietante delle diseguaglianze

Tra il 20 e il 25 gennaio si è tenuta l’annuale edizione del World Economic Forum a Davos, un grazioso centro sciistico nel Cantone svizzero dei Grigioni. L’evento, arrivato a 50 anni di longevità, è però divenuto fonte di aspre critiche, specialmente negli ultimi anni, per una serie di ottime ragioni.

Già l’idea di partenza, ossia riunire i potentati politico-economici mondiali, che per la maggior parte devono il loro status alla supremazia sulle risorse, tanto reali quanto finanziarie, al fine di delineare strategie economiche per la collettività, risulta essere un ossimoro. Insomma, il capitalismo è un sistema di sviluppo basato sulla disuguaglianza, ancor di più nell’ambito del mercato globalizzato, nonché irrimediabilmente tendente al monopolio e all’accentramento della ricchezza. Cosa dovrebbe scaturire dai suoi custodi, se non una serie di dichiarazioni di intenti del tutto dimenticati una volta di fronte al primo andamento trimestrale dell’azienda di riferimento? Eppure, l’argomento principale è stato proprio la lotta alle disuguaglianze, coadiuvato dalla sostenibilità ambientale.

Contentino per gli attivisti climatici (e riflettori mediatici per Greta Thumberg, di ritorno dopo aver ottenuto la notorietà mondiale proprio durante la scorsa edizione) a parte, di rispetto per l’ambiente da parte delle élite globali, a partire dall’ambito dello stesso Forum di Davos, se n’è visto ben poco. La credibilità di una posizione passa anche dalla coerenza di chi la assume, dunque il semplice arrivare ad un convegno sull’ambiente accompagnati da stuoli di jet privati e automobili ruggenti quantomeno una risata dovrebbe strapparla. Una di quelle per non piangere. Del resto, se il sistema economico-produttivo ammettesse una sensibilità ambientale, la questione della sostenibilità non si sarebbe venuta a creare, mentre sono ormai quasi tre decenni che si sviscera a parole, in qualunque ambito, dimenticandone soltanto un aspetto: trovare soluzioni. Per quanto le tematiche legate alla battaglia della giovane svedese (e lo scambio di opinioni a muso duro con Trump) attirino la maggior parte dei riflettori, il Forum è innanzitutto una kermesse di economia e come tale viene anticipato da un report che disegna la mappa delle disuguaglianze nel mondo, messo a disposizione dalla ONG Oxfam.

I dati del 2019, in termini di distribuzione globale, sono desolanti: risulta infatti che 2153 miliardari possedevano lo stesso patrimonio di 4.6 miliardi di individui, mentre analizzando i dati dalla prospettiva opposta, il 50% più povero della popolazione mondiale deve accontentarsi dell’1% della ricchezza. Eppure, il PIL globale è stato in crescita nell’ultimo anno, seppur questo incremento sia stato per la maggior parte fagocitato dalla fetta minore della popolazione. E chi sarebbero questi individui? Beh, che domande: gli ospiti del Forum! 

Sebbene a prima vista si possa pensare che le masse di poveri e poverissimi siano un problema meramente asiatico e africano, i dati sull’Italia sono a loro volta indicativi: il 20% più abbiente dispone del 70% della ricchezza nazionale (dando per affidabili i dati sui redditi dichiarati, cosa tutt’altro che scontata nel Belpaese), mentre il 20% più povero si barcamena con un misero 1,2%.

Tra questi due estremi si trova la stragrande maggioranza dei cittadini italiani, la cosiddetta classe media (parlandone da viva), che corrisponde grosso modo al 60% della popolazione. La quota di risorse a loro disposizione non arriva al 30% della ricchezza nazionale. Aspetto di ingiustizia umana a parte (insito nel sistema di mercato, che lo si voglia accettare o meno), quel che preoccupa di più di questi report, anno dopo anno, percentuale dopo percentuale, è la conferma dell’inesorabile trend di allargamento della forbice. Quella sì, in sviluppo perpetuo e sostenibile.

Insomma, come direbbe Travaglio, ci pisciano in testa e ci dicono che piove.