Da Giorgetti a Savona: i liberisti contro la sanità pubblica

«Nei prossimi 5 anni mancheranno 45 mila medici di base, ma chi va più dal medico di base, senza offesa per i professionisti qui presenti?». Questo ha esposto Giancarlo Giorgetti, sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei ministri, nell’ intervento che ha tenuto ieri presso il Meeting di Rimini di Comunione e Liberazione, nell’ambito dell’incontro «Intergruppo sussidarietà: le riforme istituzionali». Ha, poi, aggiunto: «Nel mio piccolo paese vanno a farsi fare la ricetta medica, ma chi ha almeno 50 anni va su internet e cerca lo specialista. Il mondo in cui ci si fidava del medico è finito».

È raccapricciante udire queste parole da un governante. Prima di analizzare la loro sostanza, pensiamo a come ha esposto la questione: un cliente abituale del Bar Sport sarebbe stato più accurato nel riportare dati per avvalorare la sua posizione! Giorgetti, invece, che ricopre un ruolo di spicco in un ministero, si fida del suo istinto e della sua capacità di approssimazione per descrivere un fenomeno. Non fornisce nessun numero ufficiale, nessun risultato di alcuna indagine statistica. Così come ha presentato la sua osservazione, si tratta di una pura impressione personale che non è supportata da oggettività. Così come lui afferma che il medico di base sia ormai superato, chi scrive potrebbe ribattere che, ogni volta che si reca dal suo, si imbatte in una lunga attesa in una saletta super affollata. Tuttavia, non avrebbe valore su scala nazionale.

Altri due appunti necessari. Il primo è che sarebbe da capire perché Giorgetti si espone su problematiche di competenza del Ministero della Salute. Forse colei che ha il compito di occuparsene, Giulia Grillo, dovrebbe richiamarlo alla correttezza istituzionale. Infine, è piuttosto grave che un membro dell’esecutivo accetti di buon grado la pratica errata di navigare su Internet e ricercarsi da sé uno specialista, perché presuppone che non ci si è rivolti, appunto, al medico di base per accertare la causa dei propri sintomi, ma si è formulata autonomamente una diagnosi, che si desidera approfondire dal cardiologo, dal gastroenterologo, dal dermatologo, ecc., saltando il primo, fondamentale consulto.

Scaviamo ora nella profondità dell’esternazioni del leghista. Esse non sono che il segno della repulsione nei confronti della sanità pubblica. Infatti, il medico di base che cos’è se non il primo presidio a cui ci si affida quando si sta poco bene, quando si necessita di un farmaco o anche solo di un po’ di rassicurazione? Non è un caso se costui viene anche denominato «di famiglia». Egli è un punto di riferimento per padri, madri, figli che per decenni vengono seguiti dallo stesso dottore, che conosce loro e la loro storia clinica, li indirizza, li consiglia, li supporta nel prendersi cura della loro salute. Il tutto finanziato dal Sistema Sanitario Nazionale, accessibile a tutti. Perciò, chi sminuisce il suo ruolo e auspica che venga soppresso si pone come nemico della sanità gratuita, quella più vicina e più necessitata, anche dal punto di vista meramente relazionale, dato il rapporto stretto che si instaura tra il medico e i suoi pazienti. In effetti, Giorgetti ha parlato di suoi conoscenti che si rivolgono direttamente a specialisti che, si evince dalla modalità di scelta, operano nel settore privato. È, perciò, chiarissimo chi vuole colpire e chi favorire con questa proposta.

Un’altra voce illustre, precedentemente parte del Governo gialloverde, si è lanciata in una critica all’attuale modello sanitario italiano nei giorni scorsi, sempre nel contesto del Meeting di CL. Ci si riferisce a Paolo Savona: «Non possiamo dare la sanità gratis a persone che sono in grado attraverso il reddito di procurarsela. Lo stato deve decidere qual è il limite al quale garantisce ai cittadini che ne hanno necessità la copertura totale da tutti i rischi».

Se, a una prima considerazione superficiale, potrebbe essere valutata come una misura persino socialista, attenta alle esigenze del popolo a discapito dei privilegi delle classi abbienti, essa deve, al contrario, far drizzare le antenne. Come si decide chi ha diritto e chi no di beneficiare delle strutture ospedaliere statali gratis (o quasi) e chi deve sborsare? Qual è la soglia di reddito? Si aggiornerà annualmente? Il numero dei componenti della famiglia influirà? Perché, ad esempio, avere un patrimonio di 10 milioni di euro senza figli è un conto; essere genitori di tre bambini, pur con lo stesso conto in banca, è un altro paio di maniche, a livello di spese mediche.

Sarebbe pericoloso questo sistema, siccome la soglia di ricchezza, per alleggerire il carico sul SSN, in nome dei conti pubblici in ordine, potrebbe gradualmente essere abbassata, tagliando fuori dall’assistenza gratuita fette di popolazione sempre più consistenti. Insomma, il sospetto è che sia o potrebbe diventare un escamotage per ridurre progressivamente la sanità erogata dal pubblico.
Questa riforma, inoltre, sarebbe in contraddizione col testo costituzionale, il quale non pone distinzioni tra il povero e il ricco nella garanzia del diritto alla salute.

Il problema della conquista dell’equità sociale sussiste, ma sarebbe più appropriato ridistribuire ricchezza costringendo i milionari a pagare di più i loro dipendenti, a investire in Italia, a non delocalizzare, a non nascondere denaro all’estero, senza minare diritti che devono rimanere propri dell’essere umano in sé, a prescindere dall’estrazione sociale.