Elezioni regionali in Francia: forte scollamento tra il popolo e gli eletti

Si sono svolte ieri le elezioni regionali in Francia. Questo turno elettorale era molto sentito, in quanto visto come banco di prova per le elezioni presidenziali, che si terranno l’anno prossimo; perciò la giornata di ieri è stata importante per testare la salute di tutti i partiti, sia quelli di maggioranza che quelli all’opposizione, vista l’importante platea chiamata al voto: ben 48 milioni di persone.

I sondaggi davano in testa la destra moderata di Les Republicains, che in qualche collegio elettorale poteva essere insediato dalla destra più radicale di Rassemblement National, che ha a capo Marine Le Pen. Per citare un esempio, nell’ultimo sondaggio in Haute de France, i due partiti erano dati in parità a 35 punti percentuali, ma il trend degli ultimi tempi sembrava favorire il RN, in netto recupero. Vista la difficoltà dei partiti tradizionali in tutte le regioni, con alcuni sondaggi proiettati al 2022 che danno Macron e Le Pen appaiati nella corsa alle Presidenziali, si pensava che in queste ore la Francia avrebbe celebrato la consacrazione del partito anti-establishment, ma così non è stato.

Sempre prendendo come riferimento l’Hauts de France, il conservatore-indipendente Xavier Bertrand ha ribaltato il pronostico, superando di venti punti (44% contro 24%) Sebastian Chenu, uno dei principali uomini di punta della leader sovranista. Questo risultato è particolarmente importante perché, con questa vittoria, Bertrand si candida ad essere l’uomo indicato dai repubblicani per il 2022, andando a sfidare gli stessi Macron e Le Pen. In Occitania, inoltre, la candidata socialista Carole Delga ha battuto il sovranista Jean Paul Garraud con una percentuale del 39,5% contro il 23%.

Alla chiusura delle urne un pensiero sembra unire le più diverse voci politiche: con un’affluenza del 31,5-33,5% il coro unanime, da Marine Le Pen alla sindaca socialista di Parigi Anne Hidalgo, invita a riflettere sullo scollamento tra il popolo e gli eletti, sempre più accentuato. Le Pen in particolare indica nella scarsa affluenza la causa dei risultati sotto le attese.

Guardando la situazione più generale, i Repubblicani hanno ottenuto il 27% dei voti, mantenendo le sette regioni (su 13) che già governavano, con un risultato senza infamia e senza lode che contribuisce a porre le basi per le prossime presidenziali. La destra sovranista, invece, può avere rimpianti rispetto alle ultime aspettative, ma con il 19% guadagna comunque qualche punto rispetto alle stesse elezioni del 2015. L’arretramento per il RN si vede comunque in certe zone, soprattutto nelle regioni metropolitane, con il calo massimo raggiunto a Pas-de-Calais (-16%) che non lascia tranquilli i vertici del partito, in vista dei prossimi appuntamenti elettorali.

I socialisti hanno tenuto le cinque regioni che già governavano. Al terzo e quarto posto troviamo il partito socialista al 17,6% e i verdi/animalisti al 12,5. Un’altra osservazione importante è che questi ultimi due, uniti ad altri partiti più piccoli considerati di sinistra, porterebbero a un massimo di oltre 34% dei consensi: avrebbero quindi buone chance di elezione all’Eliseo in caso riuscissero a trovare un candidato comune.

Il partito di Macron vede al contrario un’assoluta disfatta: il condottiero che si era presentato come novità ed eletto in funzione anti Le Pen ha pagato lo scotto della crisi pandemica, con La Republique En Marche che ha collezionato appena l’11% dei voti totali, divenendo quindi quinto partito.

La sfida nell’immediato, per tutti i partiti, è convincere gli astenuti per il secondo turno, con un occhio rivolto all’anno prossimo. Un’altra cosa certa è l’impegno già dichiarato di tutti i partiti per ostacolare la Le Pen, cercando di impedirle di arrivare al governo del Paese: le sue certezze, da oggi, sono meno solide.