Emergenza profughi: non è solo responsabilità di Erdogan

Mentre l’Italia in particolare e l’Europa in generale sono intente ad affrontare il Coronavirus e a gestirne, più o meno efficacemente, la conseguente psicosi, sull’isola greca di Lesbo, lontano dagli occhi di tutti e certamente dalle prime pagine di giornale, si sta realizzando l’ennesima crisi umanitaria. Dal 27 febbraio scorso, giorno in cui il presidente turco Erdogan ha dichiarato l’apertura dei confini verso l’Europa ai migranti provenienti dalla Siria e dai Paesi limitrofi e transitanti il territorio turco, la situazione sull’isola è infatti precipitata in una crisi tanto politica quanto umanitaria.

Non è certo la prima volta che Erdogan fa la voce grossa con l’Unione Europea usando come arma di ricatto le migliaia di profughi che attraversano o sono rispedite dall’Europa in Turchia, conformemente peraltro all’accordo stipulato nel 2016 tra il suo Paese e l’UE. A ottobre, mentre nella regione curda del Rojava si combatteva per l’indipendenza, il presidente turco aveva infatti già minacciato di rompere l’accordo con l’Unione Europea e aprire le frontiere qualora il suo intervento nella regione fosse stato ostacolato. Nulla di nuovo dunque sul fronte turco: l’approccio alla politica estera di Erdogan è rimasto lo stesso e il suo autoritarismo immutato. Se dunque alla faccia tosta del presidente turco si è ormai purtroppo abituati, quello che sta accadendo a Lesbo, ridotta oramai a quella che la giornalista Annalisa Camilli ha descritto come una «prigione a cielo aperto», non può essere perdonato all’Europa. 

Come spesso capita in simili contesti di tensione, anche in questo caso, alla diffusione di immagini e video ritraenti ora le violenze della guardia costiera greca contro le imbarcazioni stracolme di migranti ora quelle dei cittadini di Lesbo verso i volontari delle ONG e i giornalisti presenti sull’isola, è seguita la caccia al colpevole, al cattivo di turno. E chi meglio di Erdogan il ricattatore può impersonare questo ruolo? Il problema è che, se da un lato risulta impossibile non denunciare i continui e spregevoli voltafaccia del presidente turco, dall’altro l’inefficienza dimostrata negli anni dall’Unione Europea nella gestione dei flussi migratori ha fatto sì che quest’ultima si rendesse irrimediabilmente ricattabile. Sia ben chiaro infatti che quello a cui si sta assistendo in questi giorni a Lesbo non è certo una novità, bensì la versione esasperata di una crisi che sta andando avanti da anni e alla cui origine vi è semplicemente il mancato e incostante impegno di Bruxelles nel definire linee guida adeguate alla gestione delle migrazioni da parte di tutti gli stati membri.

In questo senso risulta evidente come, di fronte alle condizioni cui sono costretti i profughi a Lesbo e alle violenze in atto sull’isola, tanto la Turchia quanto l’Unione Europea, responsabile peraltro di aver erroneamente esternalizzato a Erdogan la gestione delle migrazioni dalla Siria, siano i cattivi di questo tragico e vergognoso momento storico. È inutile negarlo: a Lesbo il progetto europeo ha fallito e voltato le spalle ai suoi principi fondamentali, primo fra tutti il diritto d’asilo, lasciando che a questi si sostituissero l’egoismo e il disinteresse e rendendo più che mai necessari un’assunzione di responsabilità e una definitiva presa di posizione da parte di Bruxelles in materia di migrazioni. Per una semplice questione di umanità, non per altro.