Può esistere Europa senza Schengen?

L’Europa non si sente bene. O meglio, l’Unione Europea non si sente affatto bene. È spaventata e disorientata, non sa come comportarsi di fronte alle continue ondate di profughi che approdano faticosamente alle sue coste. Non sa come reagire davanti al dolore (mediatizzato ovunque) dei tanti sopravvissuti che hanno perso qualcuno lungo il percorso e che hanno lasciato tutta una vita alle spalle. Ed ecco, dunque, che assistiamo all’inesorabile sgretolarsi di quelle fragili premesse (contenute nel Trattato di Lisbona del 2007) a cui non c’è stato il seguito che Altiero Spinelli avrebbe voluto.

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Siamo alla resa dei conti: il destino dell’Unione è inevitabilmente legato alla questione migranti. Nella gestione dei flussi migratori (un milione di rifugiati solo nel 2015) è venuta a mancare quella solidarietà che solo agli Stati Uniti d’Europa si poteva chiedere. E invece, siccome la sovranità è ben salda nei singoli stati nazionali, ognuno fa come gli pare. I magnifici 6 (Germania, Svezia, Danimarca, Norvegia, Francia e Austria), che già hanno reintrodotto controlli alle frontiere, ora chiedono che il trattato di Schengen sia sospeso. Ovvero, chiedono che sia applicata quella clausola (precisamente l’articolo 26) per cui è possibile ripristinare le frontiere interne, per un periodo non più lungo di due anni, in caso di «minaccia grave per l’ordine pubblico e la sicurezza interna».
Ora, è giusto rammentare ai lettori che, dall’alba dei secoli, la sicurezza è una delle armi più potenti di cui i politici dispongono per giustificare determinate scelte. Scelte che, in questo caso, avranno pesantissime trattato-Schengen-immigrati_o_su_horizontal_fixedconseguenze sul piano economico, culturale e ovviamente politico. Immaginate di tornare ai tempi delle dogane: che ne sarà della generazione Erasmus e dei suoi figli? Gli spostamenti aerei saranno più difficili, le transazioni commerciali verranno rallentate dalle code di camion bloccati ai posti di controllo. Risulterebbe (quasi) impossibile, dunque, vedere situazioni del genere nel nostro mondo globalizzato odierno, tutto fatto di iperconnessioni e liquidità. Ma soprattutto: come cambierà la forma mentis (se mai ce n’è stata una) degli europei? Erigere frontiere significa chiudere gli spazi, dividere, impedire la libera circolazione di persone. Un’Europa disintegrata, insomma. Il 18 e il 19 febbraio si terrà il Consiglio europeo dove si voterà a maggioranza qualificata (ovvero il 55% degli stati membri) per decidere la temporanea sospensione di uno dei trattati pilastro dell’Unione. Se dovesse accadere, il problema non verrà di certo risolto, anzi: i profughi non smetteranno di arrivare e i profitti dei contrabbandieri continueranno a salire. Inoltre, la «zavorra» sarà completamente scaricata sui paesi più esterni, come Italia e Grecia, già notoriamente «affaticati» nel gestire i quotidiani flussi migratori, con annesse tragedie. La fine di Schengen sembra un’idea assurda quanto impraticabile. E mai, nel corso della Storia, i muri hanno risolto i problemi o messo fine alle guerre (vedasi Berlino e Cisgiordania, ma anche Belfast o Tijuana). 

Alessia Melchiorre