Le madri nella letteratura: dall’antica Grecia a oggi

L’8 maggio si avvicina e con esso la festa della mamma. Avendo trattato l’argomento maternità in toni pesanti in un mio precedente articolo, vi presenterò con toni scherzosi alcune fra le madri più famose della letteratura. Avrei voluto tessere un elogio della figura materna con toni soavi e delicati, ma, purtroppo, mi sono resa conto che ciò non è possibile. Ed è proprio la narrativa mondiale, dagli albori fino a oggi, a presentarci figure materne dalle mille sfaccettature, pregi e difetti.

Le madri nella mitologia greca: Medea, Era e Teti

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Una carrellata senza fine di figure materne ci arriva dalla letteratura greca: tra miti, leggende e poemi epici, emergono madri dai tratti più disparati (e inquietanti). 

La madre più degenere, quella che peggio di così si muore è nientemeno che Medea!

Pur essendo varie le sue origini a seconda dei miti, tutte le opere a lei dedicate concordano sull’indole cruenta di Medea, che trova il suo culmine nell’omonima tragedia di Euripide. Qui, dopo aver scoperto che il marito Giasone si sarebbe unito in matrimonio con un’altra donna, la giovane Glauce, Medea uccide la ragazza e il padre di lei con dei doni avvelenati. Non sazia della vendetta, per condannare Giasone a una discendenza senza eredi, mette da parte il proprio amore di madre e assassina i figli.

Per quanto la critica la definisca una donna controversa, io non so cosa potrei dire in sua attenuante. Neanche Alessandro Borghese riuscirebbe a ribaltare la situazione!

Fra le altre mamme squilibrate provenienti dall’antica Grecia troviamo Era. La dea, che gelosa del rapporto tra Zeus e Alcmena, infila due serpenti nella culla del neonato Hercules, ma con scarsi risultati. È vero che non era suo figlio, ma da una madre tanto prolifica come Era ci si sarebbe aspettato un atteggiamento meno sanguinolento verso il bambino, seppur bastardello.

Per fortuna fra i miti antichi compaiono anche figure materne premurose, come la titanide Teti, madre di Achille. La poveretta, avendo saputo che il figlio sarà destinato a morire in battaglia, fa il possibile per proteggerlo. Peccato però che nei miti non si seguisse una logica molto ferrea e i personaggi prendessero decisioni alquanto stupide.

Infatti Teti decide d’immergere il figlio nello Stige, un fiume dalle acque che rendono immortali, ma tenendolo per il tallone. Questo, rimasto scoperto, diviene l’unico punto vulnerabile dell’eroe. A questo punto io mi chiedo: «Non poteva tenerlo per i capelli? O magari immergerlo tutto senza farlo annegare?». Purtroppo però, grazie a questo evitabilissimo errore, Achille perisce in battaglia colpito da un dardo nell’unico punto vulnerabile. Almeno questo aneddoto ci ha lasciato in eredità il famoso detto tallone d’Achille, da molti ignoranti travisato in tallone da killer.

Madri animali: quando l’istinto materno prevale su tutto

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La mitologia antica ci fornisce inoltre varie figure di madri adottive provenienti dal regno animale, riprese poi anche da autori contemporanei. 

Nella mitologia greca compare la figura della capra Amaltea, che si trova fra capo e collo il piccolo Zeus, lasciato nell’isola di Creta dalla madre Rea. La povera capra si sobbarca la sopravvivenza del piccolo dio, che poi, per onorarla, ne userà la pelle per forgiare l’Egida, uno scudo divino. Nonostante molti miti riportino morti insensate e truculente, voglio rassicurarvi che Zeus ha almeno l’accortezza di non ammazzare la capra appositamente, ma aspetta che muoia di morte naturale. 

Passando per i miti dell’antica Roma, troviamo la lupa che allatta Romolo e Remo, i gemelli sottratti alla madre Rea Silvia. Un’altra lupa comparirà molti secoli dopo dalla penna di Rudiard Kipling ne Il Libro della Giungla con Raksha, la lupa del popolo libero che alleva Mowgli dopo averlo salvato dalla tigre Shere Khan.

Raksha è però diversa dalla lupa romana perché dotata di parola e intelletto, come gli altri animali della giungla presenti nel romanzo. La lupa romana si limita a nutrire i piccoli umani, Raksha ragiona, agisce e difende come una madre umana.

Mrs Bennet e Mamma Courage: due madri schiave delle debolezze

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Due esempi di madri alquanto discutibili sono la Signora Bennet, in Orgoglio e pregiudizio di Jane Austen e Mamma Courage nel romanzo di Bertrolt Brecht, Mamma Courage e i suoi figli. Le figure in questione sono molto diverse, ma sono entrambe prede delle loro debolezze e alla fine diventano vittime delle loro stesse macchinazioni.

La Signora Bennet è la madre di cinque figlie ed è particolarmente superficiale e invadente, motivo di divertimento per il marito e d’imbarazzo per le figlie. I suoi unici interessi sono i pettegolezzi e la ricerca di validi mariti per le proprie ragazze. La sua abissale ignoranza, però, non le permette di valutare appropriatamente i potenziali spasimanti né tanto meno il temperamento delle figlie. Sarà proprio per queste gravi mancanze che la famiglia finirà in un grosso scandalo e in guai economici.

Se la pecca della Signora Bennet  è quindi la frivolezza, quella di mamma Courage è la cupidigia. Anna Fierling è infatti una vivandiera che, durante la guerra dei Trent’Anni, si sposta per l’Europa assieme ai figli, spinta dalla brama di ricchezza. Questa smodata dipendenza dal denaro, la porta a stringere alleanze mercenarie, inseguendo l’oro più che i valori umani. Infatti, pur tentando di proteggere i propri figli, finisce per perderli tutti e tre. Rimane sola col suo carro, unico compagno fidato, con cui riparte nella sua dannata ricerca di ricchezza, croce e delizia della sua esistenza.

Madri umane vs madri animali: il bilancio finale

 Alla fin della fiera, possiamo convenire che le madri animali vincono di gran lunga contro le madri umane. Sicuramente qualche zampata ai piccoletti l’avranno data anche loro, però in linea di massima penso si siano comportate in modo più onorevole e amorevole di molte madri della letteratura. E se io potessi scegliere, preferirei senza ombra di dubbio vivere in una tana di lupi, che avere una madre come Medea!