Il problema è Freccero? Semmai i debunking fasulli sul signoraggio

L’approdo di Carlo Freccero sulle reti Rai, in qualità di direttore del secondo canale, non è di certo passato inosservato, anzi, ha già scaturito le prime polemiche.

In primis, ha creato un gran parlare il ritorno, dopo decenni, di Beppe Grillo in televisione nelle vesti di artista. Si è sparsa velocemente la voce che il comico genovese fosse riuscito a strappare a mamma Rai un succulento contratto: nulla di più falso. Si tratta, infatti, di un vecchio spettacolo ideato e messo in scena dal fondatore del M5S per il quale egli, come è giusto che sia, percepirà i diritti d’autore.
La questione su cui dibattere è un’altra, cioè se sia opportuno regalare una prima serata non a un semplice showman, ma a colui che ha lanciato il movimento politico che è ora alla guida del Paese.
Sarebbe come aver concesso, ipoteticamente, la rete a Berlusconi e al suo fido artista Mariano Apicella, ai tempi dell’impero di Arcore?
La risposta è no: Grillo non ricopre incarichi politici e, soprattutto, non si tratta di una piece recentissima nella quale potrebbe essere contenuta propaganda governativa.
Soprattutto, l’Elevato- come ironicamente ama farsi appellare- sarà solo uno dei protagonisti di un progetto ben più lungo di una sola sera, che vedrà sul palco artisti dalla comicità e dall’idee le più disparate:
Roberto Benigni e Daniele Luttazzi, tra i vari.

Un’altra bomba è scoppiata nella programmazione di RaiDue. Parliamo della trasmissione Povera Patria, anch’essa esito della ristrutturazione del canale a cui sta provvedendo, in brevissimo tempo, il nuovo direttore. Che cosa si è consumato al suo interno? Si è osato discorrere, sulla televisione pubblica, di signoraggio bancario. Questo ha causato il pronto intervento di tutti i media mainstream, preoccupati di aggiustare il tiro per non svegliare dal torpore i loro affezionati spettatori e lettori, sempre alla ricerca, per non vedere intaccate le loro rassicuranti certezze, di debunking, odioso anglicismo che ci tocca utilizzare, perché demistificazione sembra troppo complesso da pronunciare, evidentemente. Così, presto sono stati accontentati.

Tra i tanti, consideriamo il seguente articolo pubblicato da Next Quotidiano: https://goo.gl/L89E22

Analizziamo, citandole, le parti salienti.

«La Banca d’Italia non è privata. Non lo è formalmente e non lo è sostanzialmente. È vero che Goebbels ci insegna che una menzogna a furia di essere ripetuta viene creduta, ma una menzogna creduta rimane pur sempre una menzogna».

Certo, formalmente Bankitalia è un istituto di diritto pubblico, tuttavia andiamo a scovare chi sono alcuni tra i detentori delle sue quote:

Intesa Sanpaolo S.p.A. 16,86%, UniCredit S.p.A. 13,70%, Cassa di Risparmio in Bologna S.p.A. 6,20%, Assicurazioni Generali S.p.A. 4,61%, Banca Carige S.p.A. 4,03 %, Banca Monte dei Paschi di Siena S.p.A.2,50%, Crédit Agricole Cariparma S.p.A. 2,47%, Cassa di Risparmio di Biella e Vercelli S.p.A. 2.00%, Banca Nazionale del Lavoro S.p.A. 2,83%.

Tutti li conosciamo, non c’è bisogno di una spiegazione: si tratta di istituti bancari privati che, calcolatrice alla mano, sommate tra loro le percentuali, raggiungono più del 50%. Probabilmente Next Quotidiano è rimasto ai bei tempi andati in cui la Banca d’Italia era la nostra banca centrale a pieno titolo, completamente in mano pubblica prima della legge 23 agosto 1988, n. 400 ed emittente della nostra moneta nazionale, la vecchia, cara Lira. Lo stato attuale delle cose, però, come si evince con un piccolo approfondimento poco dispendioso di fatica, è ben diverso.

Ci ricolleghiamo, così, a un’altra affermazione contenuta nel pezzo di questo popolare sito: «Il debito pubblico si origina in un modo molto semplice che può essere compreso persino da Freccero, Foa e Giuli: lo stato spende più di quello che incassa. Punto. Qualsiasi riflessione più raffinata di quella che ho appena espresso richiede, per essere capita, un’intelligenza superiore a quella di un acaro. Se non siete sicuri di possederla non confezionate video divulgativi su RaiDue».

Con linguaggio oltraggioso, l’autore, tal Elio Truzzolillo, si erge a detentore della verità sul debito pubblico, ma deve aver confuso il manuale di macroeconomia con quello di microeconomia. Spiacente, lo Stato non è né una famiglia, né un’impresa, non ha bisogno di andare in pari tra entrate e uscite per non fallire. Certo, questo è ciò che vogliono farci credere coloro che hanno revisionato l’art. 81 della Costituzione inserendo il pareggio di bilancio, per il quale non si dovrebbe eccedere del 3% il rapporto tra deficit e PIL, ma la realtà è differente. Si è trasformato il debito in male assoluto per terrorizzare i cittadini e indurli ad accettare i tagli alla spesa pubblica, le misure d’austerità. Il debito, invece, è semplicemente lo strumento tramite il quale uno stato, insieme all’emissione di moneta, finanzia i settori di pubblico interesse. Niente di cui angosciarsi.  Questo diventa problematico quando è in larga parte in mano a investitori stranieri che speculano ottenendo interessi da capogiro: accade perché la Banca d’Italia, dal 1981, non funge più da prestratrice di ultima istanza, non compra più i titoli rimasti invenduti. Ciò ha comportato un immenso potere per gli acquirenti di determinare tassi molto vantaggiosi per se stessi.

Infine: «I profitti delle banche centrali non sono dati dal valore facciale delle banconote meno il costo di produzione delle stesse. Io ne ero convinto in 1ª elementare, poi sono cresciuto e mi sono informato. I profitti delle Banche centrali sono dati dagli interessi dei titoli che le banche centrali ricevono come contro partita in cambio della moneta emessa. La moneta emessa è una passività, i titoli ricevuti sono un’attività. Tali profitti sono in parte trattenuti (spese di struttura e riserve) e in parte rigirati agli stati. Nessuno ruba i soldi a nessuno».

Per replicare, riportiamo una citazione del Premio Nobel per l’Economia Paul Krugman, il quale spiega il signoraggio come il flusso di «risorse reali che un governo guadagna quando stampa moneta che spende in beni e servizi». È palese che non sia esattamente ciò che succede al giorno d’oggi, data la sovranità monetaria sottratta ai singoli stati; è cristallino che il signoraggio si sia trasformato, invece, in strumento di lucro e sottomissione a loro danno.