Immigrazione: andare al di là dei poli contrapposti

Serviva una lettera aperta di Giuseppe Conte, indirizzata a Matteo Salvini, per sentire qualche parola sensata in tema immigrazione. Le due propagande opposte con slogan da bar, partendo da «porti chiusi» fino a «i confini non esistono», lasciano il tempo che trovano. Le cause vanno approfondite e risolte alla fonte: è possibile lasciare che chi lo ritiene, anche non in stato di necessità, abbia la possibilità incondizionata di arrivare in Europa? Assolutamente no. Sì può, inoltre, essere indifferenti verso chi scappa per necessità, per ragioni indipendenti dalla sua volontà, trovandosi in condizioni di serio pericolo? Di nuovo, assolutamente no.

In questa propaganda da quattro soldi, il primo dietrofront piuttosto imbarazzante è stato di Salvini. La quantità di migranti da rimpatriare, sbandierata in campagna elettorale nel numero di 600mila unità, è stata rivista al ribasso una volta entrato al Viminale, fino al numero di 90mila immigrati clandestini. Altro passo falso di Salvini in questi giorni, quando il decreto sicurezza bis si è dimostrato inadeguato rispetto ai divieti firmati da Salvini stesso, Trenta e Toninelli verso le ONG, non rispettando alcune norme sia italiane sia internazionali. L’accusa a Conte di volergli imporre di sbarcare i passeggeri è stata un boomerang, in quanto la richiesta del Presidente del Consiglio riguardava i vari rifornimenti e la verifica delle condizioni di chi era a bordo. Da qui la lettera di Conte, che chiede a Salvini di smetterla con la propaganda e che rende noti gli Stati europei che si sono resi disponibili all’accoglienza.

Permangono però alcuni problemi, sia a livello europeo che a livello italiano. Non è possibile creare una situazione di emergenza in più rispetto a quello che già è, occupando ogni volta due settimane nel cercare, col lumicino, qualcuno che si renda disponibile. Anche la Spagna del socialista Sanchez, prima di offrirsi, ha rifiutato la richiesta della Open Arms di accogliere i minori non accompagnati. È però difficile che la nuova Commissaria Von Der Leyen riesca a trovare un accordo tra tutti da applicare definitivamente in ogni situazione, superando finalmente il trattato di Dublino.

Vediamo un po’ di numeri italiani secondo l’UNHCR, per l’anno 2017: dei migranti che arrivano, l’8% vede approvata la richiesta d’asilo garantita dalla Costituzione Italiana; c’è poi un altro 34% che ottiene lo status di rifugiato (divisi tra protezione sussidiaria e umanitaria), a cui si è data una stretta con il primo Dl Sicurezza. Del 58% che si vede negato ogni status, una parte (dato non presente) fa ricorso, che viene accolto nel 50% dei casi. Si può dire, quindi, che circa metà dei migranti non è in condizioni di dover continuare ad essere assistito in Italia. Nel primo anno del Governo gialloverde, secondo fonti del Viminale, gli sbarchi sono calati del 79%, ma i problemi rimangono due. Il primo è la velocità di riconoscimento dei migranti e degli status che gli spettano, per cui nel contratto era prevista l’assunzione di 10mila addetti; ma osservando i fatti, rispetto alla media europea, non ci si è mossi. Il secondo è la quantità dei rimpatri, volontari o coatti, per cui servono anche accordi bilaterali con i Paesi di partenza. Il numero di immigrati rimpatriati è addirittura calato rispetto all’era Minniti e la scusa del «è perché ne arrivano meno» non regge: volendoci oltre due anni per il riconoscimento, quelli rimpatriati ora sono gli stessi arrivati in Italia nel 2017, quando i numeri erano ancora alti.

In questa guerra di numeri e slogan, con la Libia ancora nel caos (ringraziamo Usa, Francia e Italia), non c’è nessuno che cerchi realmente una soluzione: tutti soccombono agli interessi finanziari di Governi e Multinazionali in Africa. E anche chi, come il buon Conte, sembra provarci, viene ostacolato da fattori più grandi di lui.