Infrastrutture italiane: disastri annunciati figli di mentalità e austerity

Ponte di Fossano, viadotto Scorciavacche, viadotto Himera: sono alcuni esempi di infrastrutture italiane crollate negli ultimi 5 anni, alle quali da ieri si aggiunge il ponte Morandi di Genova, un viadotto che sovrastava la città ligure per circa 1,5 chilometri e che formava uno dei nodi fondamentali dell’ autostrada A 10.
Il ponte in questione, una struttura di calcestruzzo armato di dimensioni ragguardevoli, era stato più volte oggetto di forti critiche, tra le quali quella eminente del Professore associato di Costruzioni in cemento armato all’università di Genova Antonio Brencich, il quale già nel 2016 segnalava la pericolosità di quel tipo di strutture, e quella della presidente di Confindustria Genova, che nello stesso periodo, profetizzava un crollo nei successivi 10 anni.
Si calcola che le vittime siano almeno 35, anche se ancora non se ne conosce il numero esatto.

Un ennesimo disastro annunciato tipicamente italiano che alimenta la incredibile scia di distruzione e di morte caratterizzante l’ultimo periodo di storia di questo paese, il quale ha subito, negli ultimi 5 anni, l’incredibile cifra di almeno 10 crolli tra ponti, viadotti ed infrastrutture generiche.
Strutture obsolete, mancanza di investimenti, corruzione e disattenzioni solo le cause principali di questi fenomeni odiosi che sarebbero assolutamente evitabili nella maggior parte dei casi, ma non solo.
Fra questi è necessario aggiungere almeno due fattori di assoluta rilevanza: la mentalità tipicamente italiana e l’austerity, figlia di quel neoliberismo tipicamente europeo.

Per quanto riguarda il primo dei due fattori, è assolutamente assodato che, mentre in altri paesi come Svezia o Gemania, le strutture vengono ciclicamente ricostruite e riammodernate secondo gli ultimi dogmi della scienza delle costruzioni, in Italia si tende alla ricerca del risparmio spasmodico, che causa spesso carenza di manutenzione e soprattutto interventi tardivi.
La mentalità italiana, poi, è quella che causa spesso e volentieri quei fenomeni di corruzione tristemente famosi ai quali in questo paese siamo talmente abituati da non scandalizzarcene più, vedasi, come ultimo esempio, il traforo di Tenda bis in Provincia di Cuneo.

L’austerity invece lavora in maniera diversa e, per certi aspetti, più subdola.
Durante gli ultimi anni, caratterizzati dalla forte crisi economica del 2009, sempre più spesso ad alcuni stati europei, soprattutto quelli più abituati a una politica interventista, è stata preclusa la possibilità di investire in maniera cospicua in settori fondamentali dell’economia come le infrastrutture e la sanità, in nome di fantomatici vincoli di bilancio derivanti da parametri di dubbia chiarezza.
Ecco che su questi stati si sono avventati i fantasmi del neoliberismo e delle privatizzazioni che, sempre di più, hanno trasformato settori di interesse pubblico in macchine per la produzione di utili, nei quali il profitto è la preoccupazione principale e solo dopo vengono prese in considerazione l’utilità dell’opera e la sicurezza di coloro che ne usufruiscono.

L’Italia non è sola in tutto ciò.
Basta infatti voltare lo sguardo verso est per accorgersi di come queste politiche, dannose e al limite del buonsenso, abbiano contribuito alla distruzione della Grecia negli incendi di qualche settimana fa.
Vincoli economici simili all’usura e politiche aggressive da parte della Troijka hanno causato in questi anni tagli continui e sempre più ampi a settori vitali dell’economia ellenica, i quali necessariamente si sono ripercossi sulla vita di tutti i giorni, e nello specifico sul Ministero della Protezione civile, il quale trovandosi tagliato il bilancio di circa il 25% e vedendosi licenziati circa 4’000 Vigili del Fuoco, ha fronteggiato l’emergenza con corpi di pubblica sicurezza assolutamente disequipaggiati e mal assortiti.

Risulta quindi palese che questo tipo di politiche di controllo economico e sociale da parte degli organismi dell’Unione Europea siano volte semplicemente alla distruzione dello Stato Sociale per come lo conosciamo ed all’instaurazione di una dittatura economica liberista-capitalista che favorisce i grandi gruppi di potere, ma che è nemica dei popoli, delle loro libertà, dei loro diritti e dei sistemi di welfare-state che hanno contraddistinto il benessere tardo novecentesco.