La Cina vieta l’ingresso di rifiuti particolarmente inquinanti: l’impatto a livello mondiale

L’attenzione per la salute e la protezione ambientale si sta espandendo anche in Cina. Ne è una lampante dimostrazione un divieto che è entrato in vigore il 1 gennaio 2021 che impedisce l’importazione di ventiquattro tipi di rifiuti nello Stato asiatico. Tra questi, figurano carta non differenziata e tessuti.

Per i cinesi accogliere tra i loro confini la spazzatura estera rappresenta una fonte d’affari considerevole. I rifiuti, infatti, com’è noto, una volta lavorati, possono essere riutilizzati come materia prima, consentendo di assottigliare i costi legati alla produzione, mentre, per i mittenti dell’immondizia, trasferirla in Cina risolve il problema dello smaltimento.

Il Ministero della Protezione Ambientale cinese ha reso noto che il 56% dei rifiuti di plastica prodotti sul nostro pianeta è esportato nella Repubblica Popolare Cinese, una percentuale stratosferica che nel caso dell’Europa raggiunge quasi il 90%. Di conseguenza, questo stop non produrrà effetti solamente sul processo di riciclo degli scarti nel territorio mandarino, bensì farà registrare ricadute in tutto il mondo.

La Cina non è certo la sola ad aver investito nella gestione dei rifiuti provenienti da varie zone della Terra. Anche altri Paesi orientali traggono profitto da questa, infatti. Malesia, Indonesia, Thailandia, Vietnam, per citarne alcuni, si occupano della plastica, dell’alluminio, della carta di popolazioni che vivono dall’altra parte del globo, spesso in modo poco trasparente, come ha denunciato in un report Greenpeace. Forse, perciò, non è un caso che nel sud-est asiatico scorrano i dieci fiumi più pericolosi in relazione al fatto che trasportano materie plastiche fino al mare.

Così, questo bando a materiali ritenuti non in linea con la preservazione del benessere delle persone e della natura costringerà la Cina a progettare un approvvigionamento di materie prime sostenibile sia dal punto di vista economico che ambientale; d’altro canto, gli Stati che si levavano il disturbo della loro immondizia spedendola a migliaia di chilometri di distanza sono ora posti di fronte all’esigenza di approntare un piano per smaltirla a casa loro, oppure, molto più probabilmente, coinvolgendo altri Paesi, almeno per ciò che concerne i rifiuti ufficialmente rigettati da Pechino. Tra chi dovrà fare i conti con questa novità legislativa troviamo anche l’Italia. Greenpeace, infatti, ci informa che il nostro Paese si posiziona all’undicesimo posto su scala mondiale per esportazione di rifiuti plastici.

Nonostante la decisione della Cina sia encomiabile, non è per nulla scontato che essa condurrà a un effettivo miglioramento dello stoccaggio dei rifiuti in chiave ecocompatibile. Come già anticipato qualche riga più su, infatti, sono molti gli Stati protagonisti di questo business, i quali, verosimilmente, trarranno vantaggio dalle restrizioni del governo di Zi Jinping, vedendo dirottare molte più tonnellate di rifiuti verso i loro porti.
Il problema più pregnante è che i Paesi in questione dispongono di una regolamentazione molto più blanda rispetto a quella del Dragone. Quest’aspetto potrebbe quindi cagionare, invece che benefici, molti più rischi per l’ambiente derivanti dal trattamento dei materiali di scarto.