La linea sottile

Hai cinque minuti per scappare.”

Queste le parole di un soldato israeliano ad un civile palestinese.

Cinque minuti. Tutto sommato, non è stato poi così cattivo, no? Ma, immaginate di dover racimolare TUTTA la vostra vita in soli cinque minuti, cosa riuscireste a portare?

Probabilmente, solo la vostra vita.

Continuano, così, i raid israeliti sulla “Striscia di Gaza”: ma quali sono i reali obiettivi di questi soldati che non riescono a fare a meno di bombardare case al cui interno si trovano famiglie, civili, bambini?

Il primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, ha dichiarato “obiettivi” gli esponenti del movimento Hamas, definito terroristico, il quale, secondo Israele,è il reale colpevole del rapimento e dell’uccisione dei tre giovani coloni: affermazione, però, mai smentita.

A detta del primo ministro,quindi, vengono prese di mira soltanto le zone di pericolo-terrorismo.

In effetti, gli ospedali, le scuole, le case sono zone in cui nascono le più grandi organizzazioni terroristiche.

Israele ormai ha il controllo della Striscia di Gaza: vengono istituiti anche dei “checkpoint”: posti di controllo, disseminati lungo il territorio (sono circa 7000), dove qualsiasi cittadino è costretto a passare per essere identificati. Secondo il governo israelita, essi sono necessari per il controllo del territorio e contro i terroristi; ma non sono poche le immagini che rappresentano violenza da parte dei soldati verso i civili che vengono rinchiusi dentro queste specie di bunker e poi liberati secondo la politica della castrazione e del disagio creato volontariamente dal governo israelita.

La libertà di pensiero, di parole, di fare una passeggiata è ormai un concetto talmente annebbiato che i palestinesi non riescono a ricordare.

Il diritto alla vita è stato negato. Nessuno ha più la possibilità di creare la propria vita, i propri sogni.

Ogni giorno muoiono centinaia di persone: per cosa? Non è nemmeno possibile definire tutto ciò una guerra, poiché le risposte armate sono poche e quasi nulle: uno sterminio. Uno sterminio che non si riesce (o che non si vuole) fermare.

Non sono affari nostri”, “Non possiamo fare niente”. Queste alcune affermazione di alcuni politici.

Altri invece hanno deciso di cominciare a bloccare il commercio israelita, di bloccare una delle loro fonti di sostentamento.

Bloccando l’esportazione, che tra l’altro impedisce il commercio a Gaza, avendo ormai vietato anche la semplice lavorazione dei campi, verrebbe chiuso un vicolo ormai troppo grande e ingestibile che favorisce la presenza delle truppe israeliane: cercando di boicottare i prodotti delle aziende israeliane o delle aziende straniere che vi commerciano.

L’11 Luglio, è stata bombardata la cosiddetta “Arca di Gaza”: un’iniziativa istituita congiuntamente tra Palestinesi di Gaza ed attivisti internazionale. L’obiettivo è quello di ridar vita all’economia e al commercio dei prodotti palestinesi. E’ stata quindi costruita quest’imbarcazione per cercare di esportare questi prodotti, impresa non semplice dato che il governo israeliano ha imposto un blocco navale illegalmente alla Striscia di Gaza.

E’ stata distrutta, questa volta, fortunatamente senza feriti, proprio per bloccare ogni possibilità di una nuova vita, o meglio, di una VITA, al popolo palestinese.

Le atrocità sono all’ordine del giorno ed è ormai difficile esserne all’oscuro.

I giornali, social network riempiti da foto di bambini uccisi, donne mutilati, uomini distrutti. Il mondo è inorridito, il mondo è indignato, il mondo è, davvero così impotente?

Immagini, video, registrazione, ormai presenti in qualsiasi testata giornalistica. Le nazioni ne sono a conoscenza, ma sembra non cambiare ancora nulla.

Chi è necessario contattare? Chi ha il compito di fermare tutto ciò? Chi può fare realmente qualcosa?

Forse bisognerebbe guardarsi allo specchio, e magari, leggere un po’ più spesso le etichette.

 

Federica Battaglia