L’inquietante premessa per poter esercitare il diritto di parola

L’inquietante premessa è la necessità impellente di esplicitare informazioni della propria sfera personale per essere ammessi al dibattito. L’inquietante premessa è il dover passare sotto un ideale metaldetector prima di poter argomentare. L’inquietante premessa è il sentirsi preventivamente pressati a recitare un credo che offra le tue coordinate ideologico-sanitarie.

L’inquietante premessa si può incontrare giornalmente in coloro che, anche coraggiosamente, tentino di alzare sommessamente il ditino per far notare alcune storture del lasciapassare verde. Non necessita di una particolare attenzione per essere individuata: più presto che tardi la sentirai, perché la prevede l’ordine degli eventi. Qualora il coraggioso individuo cercasse di eluderla, lo stesso ordine degli eventi provvederebbe al recapito di un avvertimento, un richiamo all’ordine che suonerebbe da richiesta di esplicitazione. Un messaggio che si coglie da elementi verbali e paraverbali, un pressing che vuol rimettere al proprio posto tutti gli ingranaggi del discorso. L’inquietante premessa somiglia sempre più a un riflesso condizionato, un passaggio necessario se si vuol avere accesso a uno scambio dialettico più disteso.

Uno degli esempi più vicini cronologicamente è quello dell’attore Sergio Castellitto che, dopo l’imprescindibile inquietante premessa, ha espresso le sue perplessità sul lasciapassare verde mettendo sul tavolo il concetto di catalogazione brutale e, in una successiva intervista, si è detto preoccupato per l’odio utilizzato come materiale da prima serata. In un precedente articolo del blog si era argomentato sull’odio crescente generato dalla catalogazione: essa arriva dall’alto e porta i suoi effetti d’odio verso il basso nella nostra classe popolare, producendo effetti sociali mediante il possesso del lasciapassare. Il suo possesso offre a taluni l’illusione di un innalzamento di status a cui segue l’esercizio, reale, di squallide vessazioni. È il solito meccanismo del potere, già esposto da De La Boétie in «Discorso sulla servitù volontaria».

Ancor più recentemente, dopo la messa in onda della puntata di Report del 1 novembre, gli attacchi politici subiti hanno portato il conduttore, Sigfrido Ranucci, a esplicitare, a scanso di equivoci, l’adesione di tutta la redazione di Report alla campagna vaccinale. Tra le varie informazioni esposte nell’inchiesta giornalistica, in tema di lasciapassare verde spiccano sia l’esistenza – nella comunità scientifica – di posizioni divergenti rispetto all’utilità in sé dello strumento, sia l’incomprensione sui criteri alla base dell’allungamento governativo della sua validità.

È davvero desolante dover passare attraverso l’inquietante premessa, l’esplicitazione di informazioni appartenenti alla sfera personale dell’individuo, per rivendicare a sé un diritto di parola pieno, una credibilità altrimenti vanificata in partenza. Questo accade nei media e viene trasposto per imitazione in contesti amicali o, addirittura, familiari allargati. È sempre più opportuno rigettare questo implicito ricatto, perché si vale in quanto individui e non in quanto conformati.

Evidenziare questo elemento comunicativo della realtà in corso non distoglie certo dal susseguirsi degli eventi: si fa spazio l’opportunità di limitare ulteriormente la libertà dei non vaccinati. Dopo il surrettizio richiamo nel dibattito italiano via austriaca, la tesi dell’eventuale segregazione selettiva dei non vaccinati si sta espandendo a macchia d’olio. Il tutto è inconcepibile e discriminatorio, partendo dall’argomentazione che convalida già una ferma opposizione al lasciapassare verde: oltre agli aspetti morali ed etici in ballo, sia i vaccinati che i non vaccinati hanno in comune, attualmente, il pieno rispetto delle leggi in vigore.