A nessuno stanno a cuore i giovani della provincia di Cuneo

«Attenzione, attenzione! Campeggio Resistente finisce a casa vostra!
Cari campeggiatrici e campeggiatori resistenti, è giunto il momento di comunicarvi che l’edizione di quest’anno di Campeggio Resistente non si farà. O meglio, si farà, ma a casa vostra!»

Così inizia il comunicato con cui l’Associazione Campeggio Resistente comunica che nell’estate 2018 dopo dieci anni dalla sua creazione, l’omonimo festival cresciuto nel paesino di Valloriate non avrà luogo.
Sparisce, dunque, uno degli ultimi eventi di un certo rilievo della provincia di Cuneo, un festival gratuito che negli anni si era prefissato di creare un’ alternativa di intrattenimento e proposta culturale, rinnovare e mantenere viva la Memoria, portare i giovani a vivere la montagna e a condividere momenti di riflessione e di festa in modo partecipativo, gratuito e aperto a tutti.
Cessa di esistere per diverse problematiche spiegate nel loro comunicato stampa, ma anche a causa delle troppe difficoltà che la circolare Gabrielli e la burocrazia italiana hanno portato in dote a chiunque si prefissi di organizzare un evento, equiparando grandi manifestazioni a sagre di paese.
Questa triste notizia dà lo spunto per affrontare un argomento che spesso viene ignorato dalle parti di chi scrive: il progressivo «intristimento» di quella che viene chiamata Provincia Granda, correlato alla mancanza di attività rivolte alle persone che più risentono dell’isolazionismo cuneese, i giovani.
È diventato, infatti, progressivamente più difficile, per chi appartiene alla fascia d’età 15-25, vivere in un territorio in cui la città capoluogo, Cuneo, ha moltiplicato negli anni gli eventi fotocopia di realtà estere (vedi Ocktoberfest), oppure ha speso centinaia di migliaia di euro in attività dallo scarsissimo valore culturale (Illuminata), ma non ha mai richiesto a coloro che dovrebbero esserne interessati quali fossero le loro esigenze.
Cuneo è città universitaria, ma scarseggiano i luoghi di aggregazione e quei pochi che ancora resistono vengono osteggiati da continue lamentele esasperanti da parte di cittadini che paiono aver dimenticato quel reticolo di vicoli che durante gli anni 70-80 si riempiva di gente la sera e di bambini di giorno, ai quali era permesso giocare per strada e che oggi debbono vedersi scritto «vietato il gioco del pallone» ovunque.
Negli ultimi cinque/sei anni, sono almeno una decina i locali di ritrovo per giovani che hanno chiuso e questo dovrebbe essere quantomeno un campanello d’allarme.
Una delle proposte più clamorose sentite fino ad ora parlava addirittura di sostituire i concerti (quali concerti?) con attività come cabaret e spettacoli comici, al fine di eliminare la musica che infastidisce i più sensibili, per «scoprire che a Cuneo è possibile divertirsi con discrezione», ma
si è arrivati addirittura al punto in cui non si può conversare con gli amici fuori da un ristorante fumando una sigaretta, perchè i gestori sono terrorizzati dalle possibili ripercussioni legate alle lamentele del vicinato.
Tuttavia, non si tratta solo di problematiche legate a musica e movida. Quello che manca in questa provincia sono proprio le attività legate ai più giovani in genere, siano esse sportive, di intrattenimento o culturali e, cosa ancora più grave, manca il sostegno delle istituzioni a quelle poche che, come si suol dire sono nate e sopravvivono «self made».
Non si può vedere, infatti, un territorio montano tra i più belli al mondo, dove non esistano (o siano rare e malviste) scuole e associazioni legate agli sport estremi.
Non si può sentire, che nello stesso territorio, nessuno, fuorchè i rari casi di finanziamento europeo, si adoperi affinchè ai giovani sia data la possibilità di studiare e lavorare con e per il turismo anziché finire a passare il proprio ciclo vitale in catena di montaggio, cosa suggerita qualche mese fa da un poco elegante discorso dell’unione degli Industriali di Cuneo.
Non si può pensare che dove si possono trovare i migliori vini del mondo esista una sola scuola per formare i futuri enologi e che in un territorio ad alta vocazione agricola l’università di Agraria sia ridotta a un casermone con pochi studenti.
Si sente spesso parlare di lotta allo spopolamento delle montagne e dei piccoli centri, in periodo elettorale, ma il conto che ciclicamente la realtà presenta è tutto un altro:
A nessuno sta a cuore il futuro degli under 30 in Provincia Granda.