I trent’anni dall’approvazione della Convenzione sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza

Il 20 Novembre 2019 ricorrono i trent’anni dall’approvazione della Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza.
Una data da ricordare perché ci sono voluti secoli per arrivarci, letteralmente.
Si parte da una fase molto lunga in cui il riconoscimento dei bambini e degli adolescenti passava quasi esclusivamente per l’idea che fossero proprietà dei genitori, che potevano disporre su cosa far fare loro o su cosa fare di loro. Poi, dall’epoca delle Rivoluzioni settecentesche, prende il via una riflessione sui diritti umani, nonostante spesso la categoria umani non includa tutti gli esseri umani.

Nell’Ottocento la rivoluzione industriale preme l’accento sul mondo del lavoro ed emerge la problematica dello sfruttamento minorile. È solo, però, in seguito alle due guerre mondiali, quando l’umanità sembra aver toccato il fondo, che nascono i primi documenti dedicati a bambini e adolescenti. Negli anni ’20 arriva la Dichiarazione di Ginevra sui diritti del fanciullo. Rivolge l’attenzione su quest’ultimo soggetto dedicandogli assistenza e protezione, ma non gli dà direttamente voce o potere decisionale. È un primo passo fondamentale proprio perché ha osato dichiarare e rompere il ghiaccio sull’argomento, ma non detta legge come una Convenzione, è poco più di un pezzo di carta. Apre comunque la strada ad un altro passo importante: la Dichiarazione del 1959, che prepara il terreno proprio a quella del 1989, da cui ricorrono appunto 30 anni.
È un altro pezzo di carta, ma stavolta ha valore di legge e lo è per ogni paese che decida di ratificarla. Ad oggi si percepisce ancora una grande assenza, quella degli Stati Uniti, ma è stata comunque ratificata da altri 196 Paesi, fra cui l’Italia, nel 1991.

Non si descriveranno in questo articolo tutti e 54 gli articoli di cui è costituita, perché se ne perderebbe il senso. Dal sito UNICEF, ho invece rilevato i quattro principi che ne sono l’anima.
Uno di questi è il principio di non discriminazione, che sottolinea come la carta sia rivolta a tutti e i diritti in essa contenuti appartengano a tutti i bambini e gli adolescenti appartenenti alla specie umana, senza distinzione per lingua, religione, sesso e nemmeno per l’opinione sia essa del minore o dell’adulto suo tutore o genitore. Sembra assurdo sottolineare l’assenza di distinzione anche per razza, dato che tra gli esseri umani non esistono più razze.

Tornando al discorso delle opinioni e del rispetto per quelle diverse, troviamo il principio dell’ascolto delle opinioni del minore. Si aspira a una varietà e ricchezza di opinioni e non alla censura di alcune o altre. Inoltre, si tratta non solo delle opinioni del genitore o tutore dell’adulto in generale, ma si punta proprio a sentire e ascoltare quella del minore, soprattutto sulle decisioni che lo riguardano. A quel punto la carta prevede che l’ascolto dovrà includere la considerazione e il tener conto di questa opinione.
Il superiore interesse è infatti quello del bambino/adolescente. Questo interesse deve essere prioritario a livello di ogni legge, provvedimento, iniziativa pubblica o privata e in ogni situazione problematica o meno che sia. Quindi, anche in caso di guerre, crisi, matrimoni, separazioni, adesioni a culti, acquisti e via dicendo.

Apparentemente banali, non sono invece così scontati i diritti alla vita, alla sopravvivenza e allo sviluppo. Da essi, se realmente riconosciuti, discendono tutti gli altri diritti.
Il fatto che questi principi e ognuno dei 54 articoli della Convenzione sono legge nei Paesi in cui è stata ratificata implica che educatori, genitori, insegnanti, bambini e adolescenti, tutti, ma proprio tutti, possano fare appello a questo testo, anche nei dibattiti sull’educazione.