Pasolini: 40 anni senza il Poeta delle Ceneri

Non è detto che un poeta non intraveda la verità meglio di un uomo di scienza, seppure in modo diverso. Lui, in fondo, un po’ di verità l’aveva intravista, forse per questo, su una squallida spiaggia di Ostia, la notte successiva alla ricorrenza dei morti 1975 è stato ucciso. Il quattordici novembre dell’anno prima, Pier Paolo Pasolini lancia sul Corriere della Sera il suo celebre «Io so»: «Io so i nomi dei responsabili delle stragi del 12 dicembre 1969 ­ scriveva ­ di Brescia e di Bologna, persone serie e importanti».

pasolini

Sapeva, ma non aveva le prove, forse le stava ancora cercando, quando l’hanno ucciso. Il due novembre prossimo saranno passati quarant’anni e ancora non si è fatta chiarezza sull’accaduto. Tramite una petizione su Change.org, l’avvocato di un parente di Pasolini chiede la riapertura delle indagini. Una cosa, però, è certa: Pasolini è morto e non ci sarà più un uomo come lui. Un uomo con lo stesso sguardo acuto sulla realtà, in particolare quella italiana, sulla storia recente (gli anni Cinquanta, Sessanta e il terrorismo degli anni Settanta), con l’attenzione rivolta anche ai mutamenti linguistici. «Cominciare da “Kelle terre”­ – scrive in Studi per un 33 giri sulla letteratura italiana – ma ricordarsi sempre di quella penisola senza pali della luce». Nonostante la volontà di approfondire le indagini e la rabbia per questo omicidio, non dimentichiamo ciò che Pasolini stesso ha scritto nel 1967, in un saggio, dopo la morte di Kennedy: «Finché siamo vivi, manchiamo di senso. La morte compie un fulmineo montaggio nella nostra vita: ossia sceglie i momenti più significativi della nostra vita e li mette in successione». Difficile definire chi fosse Pasolini, tante erano le sfaccettature della sua persona e della sua attività. Scrittore, regista, comunista, sceneggiatore, giornalista con un gusto particolare per la polemica, amante del calcio, Medea-Pasolini-e-Callas«enfant prodige» (a diciassette anni era già iscritto alla facoltà di lettere), omosessuale (tanto da essere espulso dal Partito Comunista Italiano e interdetto dall’insegnamento in una scuola media). Soprattutto, però, era un poeta, cantore dell’Italia popolare (quella che parla solo dialetto) e della cristianità delle radici. Mentre anche il più fresco manifesto cade a pezzi, mentre il marxismo delude e lo storicismo hegeliano è spazzato via da una nuova preistoria, la sua volontà di essere poeta è salda, la sua poesia rende giustizia. La sua poesia è realista (a tratti dantesca), è intrisa di pietà «creaturale» verso gli uomini. Una pietà che ha del comico e dell’amaro.
Mi sembra di vederlo, Pasolini, mentre contempla le Ceneri di Gramsci. Notate tutte le frasi che iniziano con la congiunzione avversativa, segno evidente della contraddizione, con cui comincia la poesia, e che è propria dell’essere umano.

Ma nella desolante mia condizione di diseredato, io possiedo
ed è il più esaltante dei possessi
borghesi, lo stato
più assoluto. Ma come io possiedo la storia,
anch’essa mi possiede, ne sono illuminato,
ma a che serve la luce?

Una domanda che rimane sospesa, in un’opera che potrebbe essere letta come conflitto fra eternità e storia e poi fra storia e preistoria.
Conflitto fra tradizione e nuova società, conflitto fra Chiesa e laicità. Quest’ultimo è sempre vivo nell’opera di Pasolini, in particolare nel celebre articolo del 1973 a commento della pubblicità dei jeans Jesus. Lo slogan «Non avrai altro jeans al di fuori di me» fece scandalo e i preti si affrettarono a «piagnucolare» sull’Osservatore Romano. Risultato? La pubblicità venne cancellata. Con la sua sensibilità di letterato, armato di penna e spirito di polemica, Pasolini ne approfittò per commentare con un lungo intervento sul Corriere della Sera: raccontò il patto fra la Chiesa e lo Stato Borghese, espressione del neocapitalismo. È lo scritto attraverso il quale ho conosciuto Pasolini, uno scritto duro, senza mezzi termini nei confronti della Chiesa, accusata di reprimere, attraverso polizia e magistratura, qualsiasi «rivolta di tipo umanistico». L’immediata repressione è possibile solo grazie ad un accordo con lo Stato Borghese, di cui la Chiesa si impegna a riconoscere la liberalità (apparente). Secondo lo scrittore, questo accordo è un errore, che segna il declino della stessa istituzione ecclesiastica. Insomma, l’uomo moderno neocapitalista non sa che farsene della religione e delle istituzioni ad essa connesse; l’uomo nuovo indossa jeans Jesus senza farsi scrupoli. Tuttavia, non è solo questo aspetto che a Pasolini interessa, ma anche quello puramente linguistico, che non è per niente solo linguistico. Secondo il poeta bolognese, il linguaggio della società del suo tempo, la nuova lingua italiana è sempre più comunicazione senza espressione e lo slogan pubblicitario ne è la prova. È espressione stereotipata, immediata, impattante, che serve ad appiattire l’uditorio, a cancellare le differenze, lo slogan è falsa espressività, ma non in questo caso. «Non avrai altro jeans al di fuori di me» potrebbe inaugurare un altro tipo di linguaggio. Secondo Pasolini l’appiattimento di massa è sintomo della globalizzazione. Il grande regista Vincenzo Cerami (1940-2013), allievo del poeta bolognese alle medie e poi accanto a lui nella realizzazione di alcuni film, fa notare come Pasolini fosse stato testimone del passaggio dalla società popolare, patriarcale, dove i valori venivano normalmente trasmessi di generazione in generazione, a una società di massa, dove tutti possono accedere ad altri mezzi di indottrinamento, quali la radio e la televisione.

Da «Salò o le 120 giornate di Sodoma»
Da «Salò o le 120 giornate di Sodoma»


Pasolini-regista è un’altra faccia della sua personalità; penso che lui sarebbe stato un grande anche senza i suoi film (la poesia, i romanzi parlavano già moltissimo, lo costrinsero a parlare persino in tribunale), ma non ha potuto fare a meno dell’arte del cinema. Partiamo dalla fine, da Salò o le 120 giornate di Sodoma, recentemente premiato al festival del cinema di Venezia, come miglior classico restaurato. È un film «estremo», che ruota intorno al numero quattro: quattro signori, rappresentanti dei quattro poteri nella repubblica di Salò, rendono prigioniere per centoventi giorni quattro megere, ex meretrici e una schiera di ragazzi e ragazze e li torturano a loro piacimento. Lo schema temporale è diviso in quattro gironi dell’inferno dantesco: Antinferno, il girone delle Manie, il girone della Merda e il girone del sangue. Marx e Freud si sposano, la classe dominante si impone sulla più debole, anche attraverso rapporti sessuali obbligati e sadici. Presentato postumo a Parigi, in Italia venne sequestrato subito, Pasolini non aveva vita facile neanche da morto.